Antonio Vandoni: Il cuore pulsante di Radio Italia, un’icona della musica italiana | Un’esclusiva

L’arte di dirigere una radio, vista attraverso gli occhi di chi ha percorso la strada, dal palcoscenico alla programmazione di un network di successo. Un network unico nel suo genere, Radio Italia, che oltre 35 anni fa ha scelto di puntare interamente sulla musica italiana, resistendo alle tentazioni dell’estero. E la scelta si è rivelata vincente: recenti dati di ascolto posizionano Radio Italia al terzo posto tra le emittenti nazionali più apprezzate. Un trionfo della musica italiana, e di chi ci lavora. Grazie per questa intervista, un onore per un conduttore radiofonico confrontarsi con il direttore artistico dell’emittente che rappresenta l’eccellenza musicale italiana.
Iniziamo dai numeri. Dopo oltre 3 decenni, Radio Italia continua a stupire. Si aspettava questi risultati? Il favore del pubblico verso la nostra programmazione, voluta dal nostro Editore, Mario Volanti, è un dato consolidato da 35 anni. Aggiungendo l’impegno della direzione artistica, del marketing, del sito web, dei social media e di tutto il team, i risultati non sono una sorpresa, anzi, ci incoraggiano per il futuro. Radio Italia è un’eccezione, un’oasi di credibilità nella sola musica italiana.
In tutti questi anni, avete mai considerato di inserire brani stranieri? Assolutamente no. È la nostra peculiarità, il nostro marchio di fabbrica. Ci sono state pochissime eccezioni, per grandissimi artisti, con brevi interventi in inglese, ma confermano la regola. A proposito di FM, l’aggregazione di emittenti in grandi gruppi è un fenomeno in crescita. Secondo lei è positivo o si rischia di perdere l’identità dei singoli marchi? I gruppi editoriali esistono da sempre, non mi sento di giudicare le scelte altrui. Si dice spesso che solo in Italia si punta ancora sulla FM, mentre all’estero si predilige il satellite o il web. Perché in Italia l’adozione del DAB è così lenta? In Italia siamo molto legati all’FM, non solo per nostalgia, ma anche perché la transizione richiede tempo, investimenti in infrastrutture e la sostituzione dei ricevitori. Ma anche noi ci arriveremo.
Immagino che in passato sia stato contattato da altre emittenti. Cosa l’ha spinta a rimanere a Radio Italia? Ho ricevuto offerte da emittenti radiotelevisive, ma 18 anni fa ho scelto Radio Italia soprattutto per l’Editore Mario Volanti, una persona eccezionale. Per me le persone vengono prima delle aziende, e poi perché sono sempre stato vicino alla linea editoriale di Radio Italia, amando la musica italiana da sempre, lavorandoci per 30 anni, anche come discografico e ascoltatore appassionato.
A Radio Italia sono passati i migliori artisti italiani. Alcuni sono diventati amici, con altri ha collaborato per i concerti. Qualcuno l’ha emozionata al punto di lasciarla senza parole? Ho incontrato tanti artisti, prima come discografico e poi a Radio Italia, e ho vissuto emozioni intense. Ma Pierangelo Bertoli al Festival di Sanremo del 1991 mi ha lasciato senza fiato. Ero alla Dischi Ricordi e lo avevamo presentato insieme ai Tazenda. Era la sua prima apparizione in prima serata sulla RAI, perché prima si diceva che “non era bello vedere un artista cantare su una sedia a rotelle”. L’ovazione del pubblico dopo la loro esibizione fu incredibile. L’abbraccio che ci siamo scambiati piangendo nell’ascensore, dopo averlo riportato sul palco per godersi la standing ovation, è un ricordo indelebile.
Per Radio Italia i concerti e il rapporto con il pubblico sono fondamentali. È questa la vostra carta vincente? Il rapporto quotidiano, unico, costante e coerente con il pubblico, questa è la nostra forza, non solo i concerti. Non posso non ricordare Franco Nisi, la cui professionalità è ancora un esempio per tutti noi.
Ha un ricordo particolare da condividere? Franco è un riferimento umano e professionale indelebile. Eravamo amici da oltre trent’anni, ho tanti ricordi meravigliosi. A proposito di concerti, ha partecipato a diversi programmi televisivi come tutor o giudice. Non le piacerebbe creare un X Factor italiano, nei panni di un Simon Cowell “tricolore”? Certo, più per il bene della musica italiana che per me. Il mercato dimostra la grande richiesta di canzoni in italiano.
Radio Italia ha organizzato concerti in tutto il mondo. Dove vi siete sentiti più vicini a casa, nonostante foste all’estero? Abbiamo portato la musica italiana in tutto il mondo, ma uno dei ricordi più commoventi è un concerto commemorativo per le vittime italiane dell’attentato alle Torri Gemelle a New York. Due mesi dopo l’attentato, abbiamo organizzato un concerto di artisti italiani per i familiari delle vittime. L’aria di New York era ancora satura dell’odore acre del fumo… Se devo ricordare un’atmosfera simile a quella di Piazza del Duomo, penso a Toronto, dove per alcuni anni abbiamo organizzato uno spettacolo con tanti artisti italiani (tra cui Tiziano Ferro) per 20.000 italiani in Canada. Un calore e un affetto incredibili per la musica italiana e per la nostra radio e televisione.
Una domanda da conduttore radiofonico. Cosa serve per diventare un conduttore di Radio Italia, e cosa precluderebbe l’accesso? Gli speaker di Radio Italia rispecchiano la sua linea editoriale: moderati, con un linguaggio appropriato, attenti alle esigenze del pubblico, mettendo la musica al centro, più che la loro presenza.
Ultima domanda: ha lavorato con i migliori, diretto grandi festival, ottenuto grandi soddisfazioni. C’è qualcosa che ancora non ha fatto e che si propone di realizzare a breve? È banale, ma vista la mia passione e la mia esperienza trentennale nella musica italiana, mi piacerebbe collaborare a un prossimo Festival di Sanremo. Grazie per l’intervista. E viva la radio!