Federico Montaresi ha 23 anni, è giovanissimo eppure ha davvero molto da dire, e non solo in questa intervista, soprattutto con il suo lavoro. E sì perché Federico è un artista, che muove i primi, e ben consolidati passi, nel mondo dell’arte moderna, non è un pittore, ci tiene a dirlo, e ha le idee piuttosto chiare, seppur ovviamente inserite nella naturale plasticità di pensiero di chi fa il suo lavoro!
Che cos’è, cosa pensa, dove vuole andare e dove ci vuole portare con la sua arte? Leggete questa chiacchierata credo che non potrete che rimanere incuriositi, forse affascinati, a tratti spiazzati…
Federico, sei un giovane artista che si muove nel mondo dell’arte contemporanea ci racconti qualcosa di te e del tuo percorso per poterti iniziare a conoscere?
Il mio percorso, pur essendo agli inizi ha una sua intensità. I concetti fondamentali intorno ai quali si muove il mio pensiero sono soprattutto le mie più grandi paure, a partire dal tempo, come costrutto sociale, come inevitabile prigione alla quale siamo vincolati e dentro la quale siamo costretti a vivere. La prima serie di lavori ha inizio quattro anni fa, dipingevo su lamine di metallo con solventi chimici per creare effetti con la ruggine, e poi fissarli e impedire il naturale processo di arsura. Per un periodo ho cercato di trovare il mio tempo e la mia concezione di tempo, quasi annullandomi, dedicandomi a letture e studi per indagarlo attraverso gli occhi della fisica, della filosofia, della psicologia e dell’arte. Ho spaziato da Carlo Rovelli a Julian Barbour, da Edoardo Boncinelli a Stephen Hawking. Il mio interesse non poteva che virare, di conseguenza, ai Black Holes, gigantesche parti del tessuto spaziotemporale, fatta di massa densa che alterano la percezione di ciò che li circonda. Essi sono avvolti da un alone di mistero, che si sa, è concime per l’arte.
“INTØ concetto spaziotemporale” è lo sviluppo artistico della mia ricerca. L’unione tra la fisica teorica e l’espressione artistica. La collezione si orienta appunto verso una visione concettuale e non figurativa dei Black Holes, al contrario di quello che può sembrare. Con INTØ il mio tentativo è quello di innescare un meccanismo ipnotico nell’osservatore che, senza l’aiuto di fattori temporali artificiali o naturali, crei un proprio spazio-tempo durante l’osservazione delle opere. Vorrei che venisse inghiottito dalla forza di gravità dentro il nero e nascesse così un dialogo interiore. Credo che i pensieri scorrano molto più velocemente delle parole, e questo colloquio con noi stessi sia fondamentale per attivare il loop spaziotemporale che cerco.
Al centro del tuo lavoro ci sono i Black Holes, perché hai iniziato ad appassionarti a questo tema, e da cosa è scaturita, come si è sviluppata questa attenzione?
Come spiegavo prima, si teorizza che i Buchi Neri siano delle zone situate nello spazio-tempo fatte di materia oscura, talmente dense che nemmeno la luce può penetrare, e immaginatevi quanto possa essere sottile lo spessore di un raggio di luce. La loro importante massa è in grado di curvare il tessuto spaziotemporale e di alterare quindi la relativa percezione. I Black Holes diventano un punto di arrivo e un punto di inizio: un punto di arrivo perché il loro fascino è la nemesi della mia paura, dato le loro leggi vanno contro ogni costrutto temporale, un punto di inizio perché concettualmente aprono le porte a milioni di domande, alle quali posso rispondere con la mia arte.
Parlare di “definizione” di arte è molto, forse troppo generico. Numerose forme di comunicazione dell’arte hanno un’esperienza legata allo spazio e al tempo. Basti solo pensare che ormai il tempo è scandito da ogni cosa, dal ritmo della musica, dalla durata di una canzone, dall’orologio sul nostro smartphone, dal rumore della sveglia che stoppiamo ogni mattina. Credo che questi fattori siano in grado di influenzare sempre un osservatore, sia che si trovi di fronte ad un Fontana o ad un Caravaggio. Ciò che vorrei creare nel mio pubblico è una sensazione di ignoto, come se si trovasse di fronte ad un eterno perpetuo moto astrale, e che si facesse trascinare dalla gravità, verso quello che si potrebbe definire l’eterno.
Ci spieghi che tecnica utilizzi nei tuoi lavori?
La mia fortuna è stata quella, in giovane età, di avere insegnanti che mi hanno permesso di spaziare e sperimentare ogni tipo di tecnica, i miei maestri non si limitavano alle tediose e classiche pitture acriliche o ad olio (che credo vadano comunque destreggiate). Le mie tecniche sono miste, come dicevo, ho realizzato lavori su lamine di acciaio e solventi chimici, con bruciature e fissanti per poi passare a pitture acriliche , spray e smalti. Alcuni lavori inediti comprendono anche installazioni e video. Non mi piace essere definito pittore.
Usciamo dai Black Holes, ti stai per laureare, come vedi il tuo percorso futuro, l’arte sarà il tuo lavoro a tempo pieno? Hai già in mente dei progetti?
Sto costruendo il mio futuro orientandolo alla produzione artistica, ho già molti progetti in cantiere. Penso che possa diventare un lavoro a tempo pieno prima di terminare la tesi di laurea, che sarà un lavoro sperimentale sull’inesistenza del tempo nella percezione artistica.
La tua prossima esposizione sarà a Firenze, dai qualche dettaglio e anticipazione ai nostri per lettori, utili a venire a conoscerti.
La Collettiva di Firenze si svolgerà per tutta la durata del mese di Giugno, nello spazio sottostante la Basilica di San Lorenzo. Porterò due grandi dipinti (probabilmente i conclusivi della serie dei Black Holes) e un’installazione intitolata “Continuum” , sempre legata alla concezione del tempo nella nostra società.
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