Spesso, la nostra incapacità di agire si riflette in ogni gesto, una disconnessione tra mente e corpo. Talvolta, la limitazione è puramente fisica; il termine “impotenza”, però, è spesso associato, drammaticamente, alla sfera sessuale maschile. Ma esiste un’altra forma di impotenza, più subdola e diffusa: quella emotiva, un sentimento di inefficacia che permea la nostra società. Un’atmosfera di sfiducia verso il futuro soffoca le speranze, soprattutto tra i giovani, difficili da convincere che un cambiamento è possibile. L’orizzonte appare buio, minacciato da eventi che alimentano la paura e lo smarrimento. La lotta, paradossalmente, si rivolge contro noi stessi, una battaglia interiore che erode la nostra forza vitale. Le donne temono di non aver raggiunto la propria realizzazione, gli uomini di aver perduto la loro virilità. Sembra una gara a chi perde di più: bellezza, potenza, forse persino la ragione. La rabbia, oggi, prevale sulla rassegnazione, frutto di un’impotenza che precede l’abbandono. Anche nella mia vita ho conosciuto momenti di profondo scoraggiamento, in cui il passato oscurava il futuro, annullando ogni speranza. Fallimenti ripetuti si amplificavano in ogni ambito: amore, famiglia, lavoro. Allora, ho trovato rifugio nella fede, nella convinzione di un disegno superiore che mi guidava, cercando con tutte le mie forze di non soccombere. Oggi, però, la fatica è immensa, la confusione dilagante. Genitori che, pur non comprendendo i figli, li giustificano, assumendosi le colpe delle loro azioni. Giovani che, convinti che il futuro non esista, vivono il presente con violenza e arroganza. Si cerca di individuare i colpevoli, ma la responsabilità è diffusa, i ruoli sfumati. Regna solo un’arroganza che rifiuta il dialogo, una forza fisica autodistruttiva. Potremmo essere felici, invece, con un po’ di tolleranza, con l’accettazione dei nostri limiti. Oppure, continuiamo a inseguire l’illusione di essere supereroi, altrimenti destinati a sentirci dei falliti. Io mi sento impotente, ma non mi arrendo. Se il mondo ha scelto la fine del buon senso, lo accetto silenziosamente, ma non riesco ad adattarmici. Questa sera mia zia è ricoverata, e suo figlio non può starle vicino perché è un uomo. Questa ingiustizia mi riempie di rabbia, di un’impotenza che non è né fisica né appresa. Questa impotenza nasce dall’incoerenza di chi si lamenta, ma poi si arrende alla violenza che, anche se non espressa verso gli altri, lentamente ci divora. Preghiamo.
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