La fragilità emotiva giovanile è un terreno fertile per la colpa e l’autovalutazione negativa. Questa insicurezza, se non affrontata, può portare a due estremi: la vittimizzazione o la trasformazione in carnefice. L’escalation della violenza giovanile riflette una società in crisi, ossessionata dall’apparenza e dalla ricerca di colpevoli. La responsabilità, spesso, viene scaricata sui genitori, eredi di generazioni segnate da traumi storici e impegnate nella costruzione di un benessere materiale che ha, forse, trascurato l’aspetto educativo. I giovani di oggi, cresciuti in un contesto di permissivismo, cercano gratificazione immediata, senza considerare le conseguenze a lungo termine o l’importanza del rispetto altrui. Il modello sociale dominante premia l’affermazione a ogni costo, anche attraverso l’aggressività e la sopraffazione.
Ricordi personali di trasgressioni giovanili, apparentemente innocue, rivelano la pressione a conformarsi al gruppo e l’importanza di sentirsi accettati, anche a costo di azioni discutibili. L’esperienza professionale con i giovani evidenzia una precocità impressionante nell’esplorazione di comportamenti a rischio: fumo, alcol, droghe, e la normalizzazione della violenza, considerata un diritto, non una conseguenza. Le sostanze alterano la percezione della realtà, amplificando la rabbia, il dolore e la confusione, indirizzandoli verso comportamenti aggressivi.
La frustrazione generale, un vuoto emotivo che spinge al consumo compulsivo come forma di compensazione, alimenta un circolo vizioso di insoddisfazione e pretese ingiustificate. Il sistema sembra aver perso il controllo, ma la speranza non è perduta. L’ottimismo per l’amore e l’educazione coesiste con la cruda consapevolezza della realtà. La negazione di responsabilità da parte dei genitori, la tendenza a giustificare i figli, e l’indifferenza di fronte alla violenza, alimentano un clima di impunità.
Il problema non è solo la violenza giovanile in sé, ma la sua normalizzazione, l’accesso precoce a comportamenti distruttivi, e la mancanza di strumenti per contrastarla. La soluzione non risiede nel semplice reprimere, ma nell’educazione al rispetto, alla consapevolezza delle conseguenze, e nel riconoscimento della propria responsabilità. Occorre far comprendere che la gratificazione immediata offerta dalla droga si trasforma in devastazione a lungo termine, che l’educazione è un investimento indispensabile, e che la passività di fronte alla violenza è complice del male. Il silenzio e l’indifferenza sono altrettanto pericolosi dell’azione stessa, perché alimentano il circolo vizioso della violenza. Solo un profondo cambiamento di prospettiva, che riconosca la responsabilità di tutti, potrà prevenire il peggio.
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