Una nuova casa in terra straniera
Guardiamoci intorno e comprendiamo subito quante diversità convivono accanto a noi.
Gente straniera, tante etnie, tanti modi di vivere, tante culture.
Alcune persone hanno trovato una casa e un’occupazione, vivono e lavorano accanto a noi, si confrontano con noi o ci confrontiamo con loro.
Possiamo immaginare quanta difficoltà possano avere tutte le persone che si trovano a vivere la situazione di essere stranieri in un dato luogo, nazione o città. Quanti pregiudizi, quanta diffidenza, quanta paura fa ciò che non si conosce.
La diversità è portatrice di ricchezza e di confronto ma anche di timore e di paura, di condanna e di ghettizzazione. Lo stesso aggettivo “extracomunitario”, che letteralmente significa proveniente da paesi non appartenenti all’Unione Europea, implicitamente è discriminante rispetto alla comunità locale, nel senso che velatamente o meno si tende ad identificare l’extracomunitario come sovversivo, “irregolare”, mettendo in atto lo stesso atteggiamento e sentimento che in anni passati aveva generato il termine “terroni”.
Generalmente questo atteggiamento mentale è maggiormente diretto verso le persone di colore, piuttosto che verso altre provenienze, nel senso che anche uno svizzero o un americano sono extracomunitari, provengono infatti da paesi non compresi nell’Unione Europea, ma nei loro confronti tendenzialmente si è maggiormente predisposti.
Partendo dal concetto che la Terra ci è madre, che una nazione dovrebbe tutelare i suoi abitanti, che una città dovrebbe consentire la convivenza di varie etnie, cercando di costruire “ponti” piuttosto che barriere e che una casa è il posto per eccellenza dove ciascuno si sente protetto, al di là della nazione, colore di pelle o provenienza, possiamo facilmente dedurre quanta difficoltà ci sia nella realtà a costruire una nuova casa in terra straniera.
L’aver lasciato alle spalle abitudini, cultura, atteggiamenti consolidati e arrivare in un luogo dove, chi vive ha abitudini, cultura e atteggiamenti consolidati, significa entrare in un altro mondo. Significa che tutto ciò che appartiene a chi è del luogo deve essere compreso. Ciò che noi diamo per scontato, per chi proviene da altri luoghi è tutt’altro che scontato. La città, le sue regole, le persone, le loro abitudini, sociali, religiose, sono tutte da scoprire, da comprendere, da fondere con le proprie.
Non mi voglio addentrare in analisi sociali, politiche, sociologiche ma rifletto ed invito a riflettere tutti voi sull’importanza di non erigere barriere, di non evidenziare differenze ma ricercare piuttosto somiglianze e necessità rispetto a bisogni umani primari.
Penso inoltre che se si creano trincee, separazioni, muri, gli “alieni” sono da entrambe le parti, nel senso che se non esiste la possibilità di conoscere, di arrivare all’uomo, all’altro simile e diverso da noi, non ci sarà mai la possibilità di uno scambio. Ciascuno rimarrà nel suo gruppo di appartenenza, e sempre di più vi sarà diffidenza nei confronti dell’altro gruppo; ciascun gruppo vedrà l’altro come “alieno”.
Costruiamo ponti, non barriere!