Site icon M SOCIAL MAGAZINE – www.emmepress.com

Venti anni fa se ne andava Stanley Kubrick e con lui il suo cinema: poetico e dissacrante, visionario e geniale

Regista, sceneggiatore e produttore. Questo era Stanley Kubrick, nato e cresciuto nel Bronx.

Stanley Kubrick scomparve vent’anni fa, il 7 marzo 1999, quattro giorni dopo aver consegnato alla Warner la prima copia di Eyes Wide Shut. Morì a 77 anni stroncato da un infarto.

E’ considerato uno dei più importanti registi del XX secolo, il più grande cineasta di tutti i tempi.

Che Kubrick sia stato il più dirompente, talentuoso, rivoluzionario tra tutti i registi della storia, è l’unico dato certo dopo quello della sua morte, avvenuta vent’anni fa nel sonno in una delle stanze del suo Chidwickbury manor.

Kubrick è stato, rimane e rimarrà, quello che in pochissimi sono riusciti a fare nel campo artistico: diventare paradigma sull’infallibilità e la perfezione dell’essere cineasta.

La scrupolosità di Kubrick è leggendaria. Le scene potevano essere girate decine e decine di volte prima che fosse soddisfatto del risultato. E i suoi interventi non si limitavano alla regia.

Kubrick era padrone totale dei suoi film. Arrivava a dire la sua perfino per il doppiaggio che i suoi film subivano per la distribuzione nei paesi stranieri.

Il regista ha dato una nuova dignità alla fantascienza, che fino a 2001: Odissea nello spazio era un genere di serie B”. Per farlo, Kubrick ha fatto leva anche su imponenti (e costosi) effetti speciali. Un investimento ripagato non solo dal successo al botteghino, ma anche dall’Oscar proprio per gli effetti speciali.

E il risultato è che a distanza di cinquant’anni l’ambientazione del film risulta ancora credibile. E questo nonostante in genere gli effetti speciali siano un tratto del linguaggio cinematografico che invecchia molto velocemente.

Tutti i film di Kubrick –ricordiamo Shining, Full metal jacket, Eyes wide shut– raccontano di uno sforzo immane e dicotomico.

Tutti i narratori, e Kubrick di certo non può fare eccezione, hanno una loro morale, un messaggio che cercano di portare avanti un’opera dopo l’altra.

Vale anche per le arti figurative, almeno finché le si può guardare (e lo si dovrebbe fare) come un’altra forma di narrazione. Quella di Kubrick sembra però essere una narrazione più giornalistica che moralistica: quel modo in cui Kubrick sembra volerci raccontare “le cose come stanno”, nella dialettica tra ordine e caos.

La sua è una narrazione bipartisanla società è sia buona che cattiva, perché ci protegge da una parte ma ci castra dall’altra. E lo è la nostra natura, perché da una parte siamo assassini e depravati, ma dall’altra artistici e creativi.

Kubrick da questo punto di vista è un artista insolito, visto che la maggior parte dei creatori tende a scegliere una delle due posizioni possibili; lui, invece, si è sempre sforzato di stare nel mezzo e di raccontare entrambe le facce della medaglia.

Stupisce che gli ultimi titoli di Kubrick abbiano tutti avuto un successo enorme. Certamente hanno contribuito la sua abilità e i fondi (quindi i tempi) di cui disponeva.

Ma Kubrick aveva anche un certo talento nell’intercettare temi molto popolari. È il caso di Lolita, romanzo di Nabokov che al tempo provocò scandali enormi e su cui basò una delle sue pellicole.

Quando un suo film doveva uscire in prima visione, Kubrick pretendeva le piante dei cinema che li avrebbero proiettati e controllava personalmente, a volte inviando un assistente, se da ogni poltrona la visione fosse ottimale. Altrimenti esigeva che fossero eliminati i posti non adeguati.

Di registi come Stanley Kubrick sembra impossibile indicare emuli o allievi. Né è facile trovare predecessori.

Exit mobile version