Achille Lauro: Un’analisi di “1969”, un album rivoluzionario

L’attesa per il nuovo album di Achille Lauro, “1969”, era palpabile, tanto quanto lo scetticismo che precedette la sua partecipazione al 69° Festival di Sanremo. Tuttavia, il rapper romano ha nuovamente sbalordito, confermando la sua natura imprevedibile. L’impatto inaspettato del comunicato pre-lancio, inviato via posta elettronica per “colmare le distanze”, ha anticipato l’uscita a mezzanotte del 12 aprile di un disco anticonformista, una carica di energia esplosiva racchiusa in dieci tracce. Temi quali moda, calcio (“Delinquente”) e amore (“Je t’aime” con Coez) vengono affrontati con l’esuberanza tipica di una generazione giovane e complessa, sospesa tra aspirazioni irrealizzabili e amara consapevolezza (“Roma” con Simon P). Le immagini di auto di lusso, dalla “Rolls Royce” sanremese alla “Cadillac” e alla Ferrari nera, simboleggiano i desideri giovanili, espressi attraverso aforismi che celebrano un’estetica raffinata, paragonata a un “museo” (“Je t’aime”) o a “zucchero d’angelo” (“Zucchero”). L’album si internazionalizza anche nell’uso di parole inglesi e in ritmi dance (“Sexy ugly”). Questa sfrenatezza, però, si stempera in brani più malinconici, dove emergono sentimenti come il cinismo amoroso (“C’est la vie”) e la malinconia pop di “Scusa”, in un continuo gioco tra vita e morte, salvezza e perdizione. Achille Lauro non si limita all’esplorazione del mondo esterno, ma si addentra anche nella sua sfera intima, nella sua famiglia, come nella title track “1969”, un’autobiografia intensa, quasi cinematografica. In definitiva, l’album merita un plauso per l’originalità del percorso artistico intrapreso, che ripaga appieno le “20 ore al giorno in studio”, come dichiarato nella lettera di presentazione. Foto: Cosimo Buccolieri