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QUENTIN TARANTINO: da “Pulp Fiction” a “One Upon a Time in… Hollywood”

Quentin Tarantino, famoso regista hollywoodiano che ha incantato i grandi schermi con celebri film quali Pulp Fiction, Le Iene, The Hateful Eight, oggi ci delizia con un nuovo film di stampo un po’ differente rispetto ai precedenti; difatti One Upon a Time in…Hollywood, per 3/4 della durata, dà la parvenza di essere un film con uno stampo meno violento e con scene meno d’effetto impattante.

In perfetto stile Tarantino, che ricostruisce meticolosamente l’ambientazione e lo stile di Hollywood dei fine anni ’60, il film verte più su l’attenzione alla scenografia che ad una vera e propria sceneggiatura.
Tarantino decide di lavorare ancora una volta con Di Caprio, impeccabile, così come lo era stato in Django Unchained, nella sua rappresentazione di un attore in decadenza lavorativa.

Ad accompagnare un premio Oscar, un altro grandissimo attore che rende il tutto un po’ più “pepato”: Brad Pitt.
A lui che si deve la scena che ha tenuto tutti incollati al grande schermo, la scena finale rappresentante a doc la tecnica del regista.
Ci sono alcune domande che si celano dietro questo film:

Chi è la bambina attrice e perchè non vuole rivelare il suo nome?


Perchè si lascia così poco spazio alla figura di Sharon Tate (Margot Robbins)?

A tal proposito, il regista con un colpo di genio degno del suo nome, insceneggia l’omicidio da parte di Charles Manson nei confronti della Tate quando era all ottavo mese di gravidanza, in casa Polansky (che all’epoca era in Europa per lavoro), rappresentando tre hippies che sotto effetto di acidi, assoldati da questo misterioso “Charly”, fanno irruzione nella villa di fianco, quella di Rick Dalton (Leonardo di Caprio) e tentano di uccidere tutti all’interno, ignari che Cliff Booth (Brad Pitt) lo stantman di Rick, uomo che secondo Tarantino, avrebbe potuto scaraventare su un auto Bruce Lee, ed il suo pitbull siano all’interno della casa.
Rick, depresso per il suo decadimento artistico e per essere un’alcolista da ben quattro litri di Daiquiri Frozen a sera, sente di aver trovato la svolta, dopo tutto il trambusto creatosi a notte fonda, nell’invito della Tate a bere un drink con degli amici a casa, certo di avere un’altra possibilità di entrare a far parte del jet set di attori di grande spicco e tornare anche lui nelle grazie della Madame Cinemà.

Pare proprio che Quentin, questa volta, abbia voluto distaccarsi dall’immagine di violenza e crudeltà di Pulp Fiction e Sin City, che rappresentavano scene di overdose di cocaina, stupri e sicari, pistole e omicidi e abbia scelto di mantenersi più sul soft e sulla suspance, creando scenari all’apparenza evidenti ma che in realtà riuscivano a stupire.

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