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Enrico Maria Rizzi | “Nati dannati” e la forza dell’autodeterminazione | Recensione

L’autodeterminazione, a volte, è l’unica autorità a cui ti appelli per prendere forza e mettere in piedi il coraggio che pensavi di non avere. Almeno, non sino al punto di rischiare la propria vita per un ideale. Non ha importanza come sia cresciuto, qualunque esso sia, ma quell’ideale ha maturato e rafforzato l’autodeterminazione. E se poi è l’amore verso qualcuno, verso Dio, che alimenta la forza del proprio animo, allora l’autodeterminazione infiamma la volontà di riuscire nell’intento di ottenere ciò che si desidera, si vuole, si ama, si anela da tempo. Ma non si ha scampo, neanche da se stessi, nella lotta per quel brivido chiamato amore. All’inizio si ignora di essere dannati, attaccati ad un’idea, ad un respiro, ad un sussurro, ad una convinzione. Si è prigionieri di qualcosa pur essendo liberi, felici, tormentati. Sequestrati dai propri sentimenti, buoni e cattivi, caritatevoli e malvagi. Perché l’animo subisce la violenza dei sensi di colpa, del rancore, degli scrupoli, dell’ambizione, dell’aridità e ti fa crollare. Ti butta a terra, sfinito, sudato, emaciato. Ti trasforma. Sta a te scegliere se essere salvato o dannato nella vita. E il romanzo Nati Dannati di Enrico Maria Rizzi scava e scrosta tutto quello che può abitare nell’animo dei buoni e dei cattivi. Nell’uno e nell’altro caso fa paura ciò che si para davanti agli occhi o quello che gli occhi stessi dicono. Quello che si legge non è sempre gradevole. Il più delle volte spaventa quando l’ipocrisia, il tradimento mutano faccia per strisciare sui solchi degli obiettivi che la mente tiene vivi anche quando sembrano spenti, distratti.

Il romanzo stira le pieghe di una vicenda che brucia di intrighi, di falsità, di potere, di ambizione, di amore. L’amore di Lucrezia e Dante, lei duchessa poi donna velata e lui figlio di ricchi mercanti, poi povero ed infine nobile per la conquista in battaglie. Siamo a cavallo tra il 1500 ed il 1600 in Italia in cui la Santa Inquisizione decideva la vita e la morte della povera gente che affidava l’anima alla veste talare per respirare un giorno in più. Ma un prete, Pandolfo, dall’apparenza mite ma dal carattere diabolico ordisce una serie di progetti per passare al rosso cardinalizio e al bianco papale. Pandolfoche non riuscirà a spegnere l’amore dei due sebbene tutti siano nati dannati.

Enrico Maria Rizzi sa perfettamente come muoversi nei labirinti dell’animo umano. Accompagna il lettore nella prosa non facendolo mai cadere nella noia, tenendo sempre sveglia la curiosità di sapere, di capire, di andare a fondo nella storia. È bravo, Enrico Maria Rizzi, anche nelle parti più prepotenti, forti, malvagie. Il lettore, alla fine, si sente svuotato e parla con se stesso per capire da che parte sta la sua anima.      

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.

Un pensiero su “Enrico Maria Rizzi | “Nati dannati” e la forza dell’autodeterminazione | Recensione

  • Maria Diodati

    Una analisi lucida ed esaustiva, illumina il lettore in un ambiente difficile ma colmo di emozione. Buona lettura

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