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MARIA TRONCA | “Le fate di Palermo”, le voci sospese nel tempo | RECENSIONE

La malasorte sguazza nella carne dei disgraziati. È lì che trova posto agguantando finanche la coscienza. Di certo, guasta anche l’animo. Ma c’è qualcosa che le sfugge: la determinazione, il piglio di cambiare. Quando sei disgraziato ti senti una cosa inutile e te lo fanno capire anche gli sguardi degli altri. Ti senti brutto, sporco, diverso. Sei niente. Tu, però, lo sai che hai forza, resistenza, voglia di levarti da dosso quel destino, infame. Eppure, non sempre le cose vanno come dovrebbero andare, nel verso giusto. Si rompe qualche ingranaggio che ti riporta indietro e non sei responsabile di niente. Subisci soltanto. Poi, quando per rabbia alzi troppo la testa per dare una risposta al coraggio dovrai fare i conti con la propria libertà. In un modo o nell’altro, la libertà di essere ciò che si sceglie per se stessi toglierà sempre qualcosa a cui si tiene tanto. A volte, finanche la dignità stessa. E nel romanzo Le fate di Palermo di Maria Tronca senti la voce della vita che esce dalla canna del collo. Quella vita che è stata brutta,schifosa, terribile, squallida, ma anche sorprendente, inaspettata, per l’amore verso le storie.

Una famiglia spezzata quella dei Virga, inghiottita dal crollo della palazzina in cui abitava. Si salvano solo Sara, la figlia maggiore, e Lula, la minore. Padre, madre e quattro fratelli, non ce la fanno. Le due sopravvissute andranno ad abitare dalle fate che le accolgono come se fossero figlie loro. Il tempo passa e le sorelle devonoabbandonare la casa delle fate perché gli sguardi degli uomini iniziano a puntare Sara. Vanno a finire dalle Paternò, in un palazzo antico in cui si respira aria di stantìo, di vecchio, di tempo fermo. Le Paternò sono sorelle zitelle aride, cattive, prive di umanità, a cui Sara fa da serva. Senza saperlo, le ragazzine sono entrate nella bocca nel lupo e ne usciranno a pezzi, con il cuore a brandelli ed i pensieri rotti. Una vita la loro disgraziata, scritta da Sara su dieci quaderni, per dieci anni sino ad arrivare dopo quarantasette anni nella mani di Carmelo Spinnato, un bibliotecario che ha un amore smisurato per i libri.

Il romanzo di Maria Tronca è costruito su due piani temporali diversi che si amalgamano perfettamente. La narrazione conquista. Mentre leggi sembra di vedere i protagonisti in carne ed ossa, non li vuoi lasciare, diventano parte della tua vita. È brava, la scrittrice. Riesce a seminare lungo la storia indizi che poi sfociano in colpi di scena straordinari. Di quelli che non ti aspetti, che svelano l’inimmaginabile. Le fate di Palermo è un romanzo duro, forte. Un libro che ha la voce della disperazione, dei suoni rimasti bloccati in gola, degli occhi gonfi, dell’amicizia sincera, del dolore che passa nei silenzi e dell’amore incondizionato. Un libro attraverso il quale ti ricordi che nulla è come appare. I sentimenti, quelli non colpiscono alla cieca, ma si infiammano sulla base di ciò che viviamo.

 

Autore: Maria Tronca

Libro: Le fate di Palermo

Editore: Dots

Pagine: 317

 

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.