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Mare Fuori, l’esperimento sociale che strizza l’occhio ai giovani | RECENSIONE & INTERVISTA


E se finalmente la citazione “Non è un paese per giovani” si stesse trasformando? Arriva forte e chiaro il grido della nuova gioventù attoriale anche sulla Rai, confermato dal successo della fiction “Mare Fuori”. Quasi 1 milione e 600.000 spettatori a serata, per 6 settimane, hanno confermato l’esperimento sociale di Carmine Elia su Rai 2, in un giorno della settimana, come il mercoledì, dove non mancano tanti spunti televisivi interessanti sulle reti generaliste.

Mare Fuori”, c’è futuro dietro le sbarre? | RECENSIONE

Qui però il realismo, vero pallino di Viale Mazzini, sgretola finalmente la “campana” calata sui ragazzi, anime sempre pure da presentare semmai con distorsioni temporanee ma mai caduti al patto della legalità. Qui, infatti, non abbiamo assistito a ragazzi turbolenti con la propria famiglia, pronti a imbracciare il loro fagotto per migrare in altri posti, ma proprio capaci di crescere fin troppo in fretta, compiendo atti criminosi al di sotto della maggiore età e quindi da rinchiudere in un Istituto Penitenziario Minorile. In pratica abbiamo assistito alla fotografia sporca che caratterizza quelle zone d’ombra sociali riportato solo in un trafiletto del giornale, indossando i panni di tanti ragazzi, perlopiù partenopei vista l’ambientazione, che si son trovati a pagare il duro prezzo delle loro azioni. Chi per legittimazione familiare, come nel caso di Ciro (Giacomo Giorgio), innalzato proprio a capo della schiera maschile, chi semplicemente per vendetta e furia cieca come abbiam visto con Pino ‘O Pazz (Ar Tem) e Gemma (Serena Codato): storie di velata fragilità, riempite da melodie struggenti firmate da Stefano Lentini, che certificano gli errori compiuti forse per l’assenza di guide morali da parte di quei tanti ragazzi che si sentono privati di un vero e proprio futuro e dunque appannati dalla realtà distorta in cui vivono. C’è però chi prova a uscirne, come si intravede con Carmine (Massimiliano Caiazzo) che, seppur recluso dopo l’omicidio di un coetaneo che era in procinto di violentare la sua ragazza, effettua un percorso di redenzione, scavalcando con coraggio le logiche spietate della sua famiglia camorristica attraverso atti istintivi, anche fuori di quella legge che non rappresenta agli occhi giovanili quella forma di tutela e protezione che impone il significato stesso. L’ultimo baluardo, oltre a quel mare simbolico fuori le sbarre, vien montato dalla squadra degli agenti penitenziari, dalla nuova direttrice Paola Vinci (Carolina Crescentini), inizialmente rigida e imperiosa a causa del suo percorso di vita complicato, al comandante Massimo Esposito (Carmine Recano), capace di mettere l’empatia oltre a ogni regola e di accattivarsi la critica con la sua interpretazione magistrale, passando per il paterno Gennaro (Agostino Chiummarello), il solidale Beppe (Vincenzo Ferrera) e il manipolabile Lino (Antonio De Matteo): uomini e donne capaci di gestire una quotidianità difficile con approcci differenti, cercando unanimi di dar vita a quella seconda possibilità che si biforca in fallimento o successo. Così come vediamo sulla pelle dell’altro protagonista, Filippo Ferrari (Nicolas Maupas), che si trova a svolgere, suo malgrado (per un incidente occorso al suo migliore amico) il ruolo di forestiero per le sue origini milanesi e per quelle gerarchie carcerarie fino a quel momento invisibili ai suoi occhi, cercando di vincere la sua lotta di sopravvivenza senza varcare completamente la porta del crimine, ma anzi aggrappandosi all’amore verso Naditza (Valentina Romani), personaggio caricaturale di estrazione rom che vede paradossalmente la famiglia come un carcere e viceversa, prendendosi i gradi di leader della schiera femminile con la giusta dose di bontà.
Insomma “mamma” RAI si discosta dalla sua visione protettiva, lasciando i suoi figli alle prime esperienze artistiche (per la maggior parte del cast in scena) a redimere i propri errori dentro quei luoghi bui poco conosciuti, se non per esperienze dirette e lanciando un chiaro monito di responsabilità e giustizia fin troppo svalutata negli ultimi anni, ma soprattutto un messaggio di speranza di una nuova serialità che può allargare lo spettro del proprio audience e del proprio cast.



“Mare Fuori”, come nasce il personaggio di Carmine | INTERVISTA A MASSIMILIANO CAIAZZO

“Una serie coraggiosa, da far arrivare a tutti”: ne è convinto Massimiliano Caiazzo, il giovane protagonista di “Mare Fuori” che si prende la palma di attore rivelazione per questa produzione RAI, vincendo la sua prima sfida di protagonista sul piccolo schermo. Infatti il partenopeo classe 1997 lo abbiamo solamente visto come comparsa sulla fiction “Furore”, ma sembra quasi che sia in scena da anni, riuscendo ad aprire metaforicamente la porta del suo personaggio a tutti, chi vivendola da genitore e chi come esperienza alternativa personale. Grazie ai suoi studi alla scuola di cinema Merlies e quella spasmodica ricerca sui libri e laboratori soprattutto di Roma, Massimiliano ha affinato una tecnica interpretativa convincente, che ha garantito assieme a un approccio spensierato e leggero, la presa in carico di questo ruolo, inaspettatamente: “arrivai con leggerezza e un pizzico di sfiducia a questa call back dopo molti rifiuti, con la testa al viaggio di studi che dovevo fare quell’estate, ma rimasi colpito dal messaggio toccante del regista e capii che volevo quel ruolo”. E probabilmente da questa sfrenata volontà, si è scatenato questo tsunami artistico che ha fatto viaggiare Caiazzo nelle vie di Napoli e fra gli amici “barbieri”, così come incontrare insieme al cast alcuni detenuti, per dare quell’impronta realistica che si riflette nel citato cinema di Rosi, con le sue opere uscite ciclicamente per una ricerca di chiarezza cinematografica assoluta. Dentro lui, però, montava l’immagine del gorilla come moto propulsore delle sue azioni, per giustificare l’aggressività a semplice riflesso di necessità, seppur a tratti ingiustificata: “anche Carmine è debole, ma esercitando l’empatia, vero strumento di consapevolezza, rispetto all’apparenza riesce a uscirne fuori vincente”. Infatti al grido di “tutti parliamo senza sapere molto”, si svela il messaggio intrinseco di “Mare fuori”, ma anche l’azione di confronto da esercitare per smascherare le debolezza, così come succede con l’affronto ripetitivo fra Ciro e Carmine: “quando vado da lui – ammette Massimiliano – esercito una dimostrazione di forza interiore perché quando smetti di fare il gioco dei bulli, si smascherano e mettono a nudo tutte le loro fragilità”.

Una prova di coraggio per non perdere la forza di sognare ma che non nasconde quella vulnerabilità che si vede nelle scene struggenti dell’isolamento o della privazione della libertà. Ne esce così un ulteriore quadro realistico, tanto agognato dal giovane ragazzo di Castellamare di Stabia che si dilettava a fare da piccolo il gioco del teatro (“biish”) odiando meramente il cinema per il suo distacco dalla realtà ma che si è ritrovato proprio dopo tanti anni anche in questa dimensione, aprendo gli orizzonti e lanciandosi nel futuro con la speranza di ottenere altri personaggi che affrontino tematiche forti per crescere dentro e fuori dal set.

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