Recensione di “Io sono una famiglia, il gabbiano” di Liz Chester Brown

Reprimere le emozioni è dannoso; il silenzio soffocante può spezzare ciò che di prezioso possediamo. L’ansia ci lascia senza fiato, opprime la mente. Cresci tra luci e ombre, un groviglio di dubbi, pur distinguendo il bene dal male, ti ritrovi attratto da chi è privo di gentilezza. Forse speri di poter aiutare queste persone, di far loro scorgere la bellezza che vince la cattiveria. La capacità di esprimersi, di comprendere se stessi, è fondamentale. Questo richiede auto-ascolto o l’aiuto di un professionista, un giudizio equilibrato per accettare la realtà. La coscienza farà poi il resto. Non è semplice, specialmente durante una profonda crisi emotiva, quando i punti di riferimento vacillano o mancano modelli positivi. Se questa mancanza si estende alla famiglia, il dolore è amplificato. In “Io sono una famiglia, il gabbiano” di Liz Chester Brown, seguiamo Arianna, segnata dalle carenze affettive di una madre fredda, ma anche protetta dall’amore di un padre che ha compensato le mancanze materne, diventando per lei e i suoi fratelli sia padre che madre. Arriverà il momento in cui Arianna dovrà affrontare il peso del suo passato, un dolore senza nome preciso, ma che chiede di essere espresso per poter guarire, per volare finalmente libera. Solo allora troverà la sua strada, sciogliendo i nodi che le attorcigliavano le viscere. Lo stile è limpido, la narrazione potente e coinvolgente. Il lettore è catturato da pagine intense e piene di forza.