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Laura Pausini – piacere di conoscerti: alla scoperta di un’artista vincente con la cultura della sconfitta | RECENSIONE & INTERVISTA

Come sarebbe la nostra vita se l’evento più importante fosse andato diversamente? Con questo approccio possibilista sull’esistenza si inserisce il primo film di Laura Pausini dal titolo “Piacere di conoscerti”. Un progetto Amazon Original italiano nato da un’idea originale della stessa cantante di Solarolo e realizzato assieme a Ivan Cotroneo (La kryptonite nella borsa, Un bacio) – di cui è pure regista – e Monica Rametta (Un bacio, Il volto di un’altra), con la supervisione creativa di Francesca Picozza e con direttore della fotografia Gherardo Gossi (Diaz, Le sorelle Macaluso), che recupera i dettami del “what if”, mischiandolo fra narrativa e monografia. Infatti l’opera di circa 90 minuti si cosparge di tanto realismo, dai dettagli materiali autentici in scena ai frame dei momenti clou della carriera quasi trentennale, ma pure di una costruzione cinematografica in grado di far scorrere agilmente la storia tramite la voce fuori campo e di sdoppiarla con lecite sfumature tra i due mondi.

C’è la sceneggiatura romanzata sulla chiamata a Sanremo mentre era a scuola, così come sulla Laura alle prese con lo studio ininterrotto di notte con le cuffie alle orecchie, fino allo snodo cruciale dal quale è partito proprio il “testo buttato giù in una notte” dalla cantante: e se non fossi stata chiamata e avessi poi vinto fra le proposte al Festival ’93? La ragazza romagnola disegna così, fra le riflessioni occorse in pieno lockdown, la possibile via che avrebbe intrapreso in un altro universo, con una musica posta quasi in sottofondo, precisamente al piano bar serale in un ristorante affittato da amiche sulla falsariga del babbo, dopo una stancante giornata fra il negozio di ceramiche (o al massimo di architettura, altra sua passione adolescenziale) e le attenzioni verso il proprio figlio da crescere magari pure da sola. Un percorso come milioni di persone, da rappresentare con rispetto, ricordando fra le righe che ci si può sentire realizzati facendo ciò che ci fa stare bene con noi stessi e trattando sempre le passioni come gasamenti e mai come ripieghi.

Lungi dalla poetica per certi versi favolistica ma ad ogni modo originale con la quale affronta la routine ordinaria, c’è da ammirare il coraggio di mettersi a nudo sull’altro lato del ‘disco’, quello della notorietà, equilibrando le proprie certezze, dalla famiglia agli amici, alle più remote fragilità, dalla paura del distacco familiare agli esordi alla solitudine amorosa dopo i primi successi fino alla gravidanza latitante prima di Paola e alle conseguenti responsabilità genitoriali su sogni e trasbordi geografici dovuti alla propria attività. Messaggi, per certi versi, schietti e autentici, che potrebbero benissimo collimare con gran parte della platea che vedrà questo contenuto, in catalogo dal 7 Aprile sulla piattaforma digitale, che si allargano su un altro concetto principale: la cultura della sconfitta. In effetti Laura Pausini non sembra volersi autocelebrare, anzi: con grande coraggio mostra a tutti il grande dono della pazienza e dell’impegno, contrastante alla dilagante logica del like facile e della fama immediata, e soprattutto della sconfitta, in tal caso per il mancato Oscar del 2021 per la canzone “Io sì”.



RESTA IN ASCOLTO: LAURA PAUSINI CONSOLIDA IN SALA L’AUTENTICITA’ DEL PROPRIO DOCUFILM


Autocelebrazione? No grazie. Esordisce così alla fine della proiezione stampa Laura Pausini, a lungo corteggiata da Amazon e poi finalmente convinta… dalla propria testa. Infatti l’artista romagnola è rimasta fin da subito scettica nei confronti di un prodotto apparentemente autoreferenziale, finché non ha avuto un’illuminazione interiore che l’ha convinta. Carta e penna attorno a una semplice frase, che dovrebbero porsi tutti a un certo punto della vita: come sarebbe stata la mia vita se non fosse accaduto un determinato evento rivoluzionario (Sanremo, in tal caso)? Un’analisi introspettiva “intensa ed emozionante“, acuita dalla quarantena del primo lockdown, che ha facilitato uno sliding doors importante, dal valore terapeutico, fra ciò che ha vissuto senza filtri e ciò che avrebbe potuto fare, per riprendere “i bisogni” che aveva prima di Sanremo. Grazie all’ausilio di uno “sconosciuto” Ivan Cotroneo fino a tale momento, Laura ha vissuto a stretto giro per quasi un anno con una troupe cinematografica con la quale ha oliato il suo copione – storpiandolo molteplici volte per via della sua spontaneità nei dialoghi sul set – aperto i suoi spazi personali per il reperimento di frame e oggetti personali, creato il fil rouge con amici e parenti e creato un vero e proprio mondo alternativo. “Mi resi conto così che non era un mio capriccio personale questa fortuna”, ammette la cantante, “ma era pure dovuto a una cura dei dettagli”. E infatti non a caso Laura Pausini si è sempre circondata di arte, da quell’architettura celebrata dal suo alter ego ‘ordinario’ alla musica del babbo col suo piano bar, mettendosi a capofitto, con ostinazione nelle sue passioni, pure grazie.. “al segno zodiacale del Toro”. Fu pure facilitata dai tempi, che fan guardare con sdegno a quelli odierni basati sull’immediatezza dove si ritrova immersa pure la figlia amata Paola, dove non c’era la frenesia della fama e ci si velava di un’ingenuità palese che “portava a chiedere autografi ai VIP” durante i giorni sanremesi e alla preferenza del “piano bar alla discoteca”. Ma soprattutto portavano a vivere le passioni come veri e propri gasamenti: basti pensare che il babbo, a suo dire, decise subito dopo la prima vittoria al Festival di trasformare la casa nel fan club personale, senza presagire forse che sarebbe diventato un vero e proprio museo in meno di 30 anni, pieno di statuine e…di insegnamenti. L’ultimo, col quale termina pure il docufilm, ricorda la sconfitta all’ultimo soffio agli Oscar, che ha avuto oltremodo il valore di una vittoria per la Pausini, rivolta come sempre al suo timone vitale, Paola: “Non siamo mai stati educati alla sconfitta, e la fortuna di non vincere l’Oscar è servito a insegnarlo a mia figlia“.

Il risvolto, forse più negativo, di questo loro legame imprescindibile, nominato a più riprese nel corso della conferenza e celebrato a “incontro più importante nella sua vita”, è ripiegato un pochino sulla suggestionabilità che ha provocato sulle scelte successive dell’artista , limitata inevitabilmente su gesti e messaggi potenzialmente poco educativi, ma son comunque scelte che una madre, una donna e un’artista di fama internazionale come Laura Pausini ha saputo arginare e saprà compensare, magari con un album ancora più forte dei precedenti dal quale ancora non ha sganciato la riserva, non appena arriverà un’altra idea illuminante come questo docufilm!


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