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“Portami lontano da me” di Andrea Accorsi | RECENSIONE

Senti il ferro in bocca quando sfiati sull’orlo del precipizio. Anche i muscoli cedono, diventano gelatina.Se hai la morte nell’anima o grandi volute nella testa, gli psicofarmaci, o le droghe, ti modificano il respiro. Rallenti in tutto, persino nei pensieri. La mente, che se ne va per i fatti suoi, subisce una pausa. Ogni cosa la fai con estrema lentezza, finanche le parole escono fuori a morsi, sputacchiate. Metterle insieme una dopo l’altra non è più una cosa normale. E quel ferro che senti in bocca impasta anche i desideri. Non sei più niente, nemmeno la controfigura delle tue ore migliori. Diventi una larva, un automa. Catatonico. Qualcosa dentro ti mangia la reattività facendo di te un corpo senza emozioni, senza stimoli. Sei stanco, di tutto, anche di essere vivo. Quello che non puoi dire a parole lo racconti con gli occhi. Lo sguardo è assente, spento, basso, logorato. Hai il maremoto in testa e il deserto nelle mani. Non riesci a fare nulla, schiacciato da ciò che, in realtà, dovrebbe aiutarti. Sei ruvido, torni ad essere bambino e, in alcuni casi, chi è in situazioni simili ci resta senza aver vissuto mai l’età che poggia sugli anni. Finisci così nell’inferno senza neanche aver avuto la possibilità di scelta. Esiste una censura. Un non detto che alza muri. Sotterri dolore e silenzi perché sei consapevole di essere tagliato fuori dal vivere normale. Sei vulcano e poi lava secca e nel mezzo non distingui i confini, cancelli addirittura il senso di appartenenza verso te stesso.

In Portami lontano da me di Andrea Accorsi finisci nella resistenza di due vite. Marte ha sedici anni ed è un tossicodipendente, Andrea, invece, è un fisioterapista e ha molte zone nere nella sua esistenza. Il ragazzo ha vissuto quasi tutta la sua vita da internato, in un manicomio. Conosce l’orrore, la solitudine, le scariche elettriche, l’essere legato al letto mani e piedi per giornate intere. Conosce anche la droga che, famelica, si prende ogni cosa di lui. Andrea, al contrario, si è fatto le ossa pedalando. In sella alla sua bici si è costruito il carattere, ma i fantasmi dentro sono rimasti più vivi che mai. Più di prima. Le vite dei due si incrociano quando Marte viene affidato al fisioterapista per tentare la “terapia estrema”. Un viaggio in tandem. Entrambi saranno lo specchio di se stessi per comprendere doveinizia e dove finisce il faro delle loro esistenze. Per riuscire nella vita ti devi impantanare nella palude, solo così capirai chi sei e di cosa sei fatto. Se di coraggio o di acqua stagnante. 

Il romanzo è forte, duro, necessario. La storia ti squassa l’anima, ti entra nel cuore e ti martella in testa. Entri nei tagli della vita dei protagonisti. Sei disposto a rinunciare al sonno per seguirli in bicicletta. Perdi il fiato, lo recuperi. A volte, ti senti inutile. Ti dici anche di essere fortunato perché dalla tua hai l’equilibrio, gli affetti. La scrittura è piena, in certi casi cruda, ma terribilmente affascinante. È vera, spiazzante. Ne avverti la rotondità e ne senti gli spasmi. Lo stile è brillante. Non puoi fuggire da un romanzo del genere. Serri la mandibola per quello che leggi, ma poi vedi il faro.    

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.