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“Candida rosa” di Simona De Riccardis | RECENSIONE

L’arte non ha tempo. Circoscriverla in un dato periodo è normale, eppure manifesta lungimiranza sfociando in anni senza età. Per l’arte bisogna avere occhio e anima. Su di essa si può abbattere l’incuria e l’indifferenza degli uomini, però appartiene a tutti, ma è cosa di pochi. Chi sa fare arte tramanda la sua bellezza in una trama fitta di genialità e talento. L’arte è come l’amore, più o meno. All’inizio, forse, non comprendi bene entrambe le cose. Anzi, sfuggi ai richiami dell’una e dell’altra meraviglia. Poi tutto ti è chiaro, almeno nella sua essenza. E ne sei catturato attraverso l’alito delle emozioni. Guardi, ammiri, subisci ed attendi. Intanto, nella mente viaggiano storie che costruisci con i sogni. Pensi che tutto possa succedere, almeno quello che vorresti ardentemente. Scopri, così, che le situazioni invece sono un po’ come i trafori della pietra scolpita. Essenziali e vuoti. In quel nulla c’è la trasparenza della conquista che passa attraverso i rifiuti per una libertà scarabocchiata in funzione di un guizzo di sole in corpo. In quei momenti senti la stretta decisa del cambiamento, vedi le cose in modo diverso e comprendi che l’arte è energia pura, è il corridoio che devi attraversare per frugare nelle stagioni delle domande. Le risposte le troverai strappando le condanne alla disperazione, amando.

In Candida rosa di Simona De Riccardis punti gli occhi su una Lecce ancora da allargare nelle maglie dell’arte. È il 1619. Il giovane Cesare Penna lascia la sua famiglia per fare il garzone nella bottega di uno degli scultori più noti e stimati in Terra d’Otranto, Francescantonio Zimbalo. Il maestro è un vero talento e le sue opere sono dei capolavori in bellezza e raffinatezza. Accanto a Zimbalo, Cesare trascorre anni di formazione e dalla famiglia dello scultore è trattato come un figlio. Qualcuno però lo vede in modo diverso come lui vede con occhi dell’amore Ponzia, una giovane di cui non è alla sua altezza per mancanza di danaro e di casato. Cesare però ha il genio dell’arte, come il maestro Zimbalo. Entrambi sentiranno addosso l’ignoranza di chi si lascia condizionare da ciò che offusca la ragione per incapacità di una libera interpretazione delle parole e quindi dell’arte stessa.

Il romanzo è meraviglioso, bellissimo. La scrittrice ha il dono della narrazione che si fa seta e tramontana. Lo stile sembra una pittura, ti lascia senza parole. Sorpreso. Il lettore raccoglie ogni singola parola del racconto, a volte se le ripete tra i denti per fissarle meglio in mente. La paura che possa sfuggirgli una storia costruita ad arte è tanta, ma sa che quell’inchiostro non lo tradirà.  

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.