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“Lontano da casa” di Remo Croci | RECENSIONE

Le scelte dettate dalle necessità affogano i desideri. Esse sono cariche di tensione e portano sempre a delle rinunce. Le aspettative, invece, vanno di pari passo con la speranza di riuscire a farcela. I rischi, poi, sono a portata di mano. Sono grandi quando hai la responsabilità della famiglia, quando devi mantenerla per garantirle un’esistenza dignitosa. Per il resto, Dio vede e provvede. Certo, spesso si è costretti a pagare uno scotto per un benessere familiare che passa dalle distanze. Capita, che bisogna allontanarsi da casa per sostenerla. Una costrizione, questa, che manda in frantumi l’estro della conquista, ma non la dignità che sa adeguarsi alle situazioni difficili. Aggirarle mettendo a repentaglio anche la stabilità emotiva non è prudente perché dietro ad un escamotage si possono celare molti più pericoli di quanto non si possa immaginare. E i danni causati da azioni avventate o poco giudiziose potrebbero raddoppiare. Succede anche che ci si senta naufraghi, soli. Colare a picco quando si è lontano da casa è la sensazione che più si avverte. Non si ha scelta. Puoi essere un profugo, un immigrato, finanche un avventuriero, ma per campare si deve sentire il profumo della famiglia attraverso i ricordi per creare nuove stanze da riempire nella memoria affinchè si superino le criticità delle assenze. Servono i colori, le voci, le albe. Bisogna avere soprattutto coraggio per costruire il proprio approdo. Stringere i denti e andare avanti anche se le mancanze possono sgretolare le certezze.

In Lontano da casa di Remo Croci entri nelle vite di chi ha dovuto seguire le rotte del mare per assicurasi la terra ferma della stabilità. I legami che si creano, i taciti patti tra coraggio ed intuizione, portano a riva. Dentro, nell’anima, quello che provi lo tieni nascosto. Solo così puoi salvarti e sfuggire alla dimenticanza. Guardare negli occhi la paura, le difficoltà, di chi ha preso il mare per non inabissarsi tra i rimorsi, i dubbi, l’incertezza, la povertà assoluta, serve per capire che vita si ha e che cosa non si vorrebbe mai diventare. 

Il libro scandisce la realtà vissuta da chi ha dovuto solcare il mare per leggere quello che la vita impone con la sua verità. Lo stile narrativo è quello da cronista. Eppure, sfocia nella naturale e spontanea sensibilità che non si è lasciata trasformare dalla spinta giornalistica. Remo Croci ha la capacità di cogliere le minuzie guardando con profondità d’animo dove spesso c’è ilvuoto, l’indifferenza. I suoi aneddoti come inviato dei Tg delle reti Mediaset danno la dimensione concreta di quello che è prima l’uomo e poi il giornalista. Il lettore avverte il sacrificio di chi ha dovuto accelerare le risposte per arrivare allo sforzo che la vita riserva con molti pericoli e poche scelte.  

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