L’orrore nazista e il terrore di un serial killer: recensione di “Gioco di sangue”

Cadere vittima di un criminale è un incubo senza fine; essere preda di uno psicopatico, un inferno senza scampo. Menti contorte, segnate fin dall’infanzia, possono coltivare ossessioni, pulsioni perverse che sfociano in atti di violenza inenarrabili. La soddisfazione di desideri depravati diventa un motore distruttivo, portando a torture indicibili e atrocità inimmaginabili. Non esistono regole, ma un modus operandi, una firma che certifica la volontà omicida, una necessità inesorabile che spinge il killer ad agire. Il male scorre nelle vene di questi serial killer come un veleno, alimentando la loro sinfonia di sangue e morte. In “Gioco di sangue” di Giannicola Nicoletti, il detective Braum indaga in una Germania del 1944, sotto il giogo nazista, dove la guerra e l’Olocausto sono sfondo a un’altra orribile tragedia. Alle atrocità del regime si sovrappone il terrore di un assassino che si nutre del dolore altrui, creando un vortice di paura che supera persino gli orrori della guerra. Il romanzo, con la sua struttura che ruota attorno a un’ossessione famelica, porta il lettore in un campo di morte, fra esecuzioni reali e le tracce di un male che corrompe la mente del killer. La narrazione, tesa e coinvolgente, genera un clima di terrore palpabile, grazie alla forza evocativa delle parole dell’autore.