Il toccante dramma di Darren Aronofsky, “La Balena”, uscito di recente nelle sale italiane, vede il ritorno di Brendan Fraser, candidato all’Oscar come miglior attore protagonista. Aronofsky, maestro del cinema drammatico, noto per capolavori come “Requiem for a Dream” (2000) e “Il Cigno Nero” (2010), affronta in questa pellicola il tema delicato dell’obesità e della depressione. Fraser, celebre per la saga de “La Mummia”, si lancia in un ruolo impegnativo, interpretando Charlie, un uomo di cinquanta anni gravemente obeso che si isola dal mondo, vivendo una vita sedentaria segnata da abbuffate compulsive. La sua esistenza è segnata solo dalla presenza di Liz, un’infermiera amica, e di Ellie, la figlia diciassettenne, interpretata da Sadie Sink di “Stranger Things”. Il film narra il disperato tentativo di Charlie, la cui salute è gravemente compromessa, di riconciliarsi con la figlia, allontanatasi dopo il suo abbandono per inseguire un amore ormai perduto. La morte del partner, infatti, ha contribuito all’autodistruzione di Charlie, che tenta di lenire il suo vuoto interiore con il cibo. La performance straziante di Fraser potrebbe valergli l’ambita statuetta, una rinascita artistica dopo anni di assenza. Per calarsi nel ruolo, l’attore ha subito una trasformazione fisica significativa, tanto che il film è stato nominato anche per il premio “Miglior Trucco e Acconciature”. Charlie pesa oltre 300 kg, e Aronofsky ha scelto di minimizzare l’uso della CGI, optando per tecniche più tradizionali. Il team di esperti truccatori, guidati dall’acclamato Adrien Morot, ha realizzato un complesso lavoro di protesi, una “fat suit”, per rendere credibile la mole di Fraser. Tuttavia, proprio l’utilizzo di questa tuta ha scatenato polemiche, accusando il film di grassofobia. La critica si concentra sull’aspetto disumanizzante della tuta, sottolineando l’impossibilità per le persone obese di “togliere” il loro peso come fa l’attore alla fine delle riprese, e sul mancato impiego di attori che meglio incarnassero la fisicità del personaggio. L’uso della “fat suit”, pur essendo una pratica consolidata nel cinema, è associato a un’immaginario spesso offensivo, utilizzato per evocare risate o disgusto nello spettatore. La pellicola, quindi, solleva interrogativi sulla scelta di casting, aprendo un dibattito sul significato e sulle responsabilità della rappresentazione dell’obesità sul grande schermo, lasciando sicuramente un segno indelebile, soprattutto sulla carriera dell’attore. Foto di copertina Adrien Morot
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