La ferita del ricordo: riflessioni su “L’estate brucia ancora” di Chiara Fina

Il tempo non lenisce ogni dolore; esso persiste, simile a un fuoco inestinguibile che divampa nel bambù. Si vorrebbe annientare la sofferenza, cancellarla per sempre, ma essa torna, incessante, una voce lenta e furiosa che consuma, esaurendo le forze. Implacabile, irrompe con violenza, lasciando un segno indelebile sulla carne e nella mente, corrodendo l’anima e sprofondando la vittima nel silenzio. La capacità di comunicare si spegne, lo sguardo altrui diventa insopportabile, l’identità si dissolve, tramutandosi in un desiderio di invisibilità, di dissolvimento come nebbia. Il trauma lascia un marchio indelebile, una violazione che segna un prima e un dopo, un netto distacco tra ciò che si era e ciò che si è diventati. L’io si frammenta, ridotto a un involucro vuoto, una periferia di sé stessi, una fibra da rinsaldare. Anche i momenti di tregua sono contaminati dall’orrore rievocato, la fragilità si impossessa del corpo, la respirazione si fa affannosa, la gola stretta dal tormento. Ci si ritrova trasformati, in un continuo processo di conoscenza di sé stessi, ma il dolore, pur mutato, persiste, una presenza costante che tormenta. Certi eventi, nella loro drammaticità, non si dimenticano, aderiscono alla pelle, prendono possesso dell’anima. Si impara a convivere con essi, a riappropriarsi del proprio potere. In “L’estate brucia ancora”, Chiara Fina narra la storia di Carlotta, una tredicenne del Salento che, insieme all’amica Emma, proveniente dal Nord, vivrà un’estate che cambierà per sempre le loro vite, rivelando la vera natura del dolore. Carlotta ne sarà maggiormente colpita, mentre Emma affronterà la sua prova. Il romanzo si distingue per la forza e la durezza della storia, per la maturità espressiva, per l’efficacia di una scrittura priva di artifici, in cui ogni pagina possiede un suo intrinseco potere evocativo.