Malmö ci regala lacrime: non siamo riusciti a far ballare a tutti la “cumbia” e ci stiamo chiudendo, dopo il settimo posto di Angelina, in discorsi “noiosi” su complottismo e boicottaggio. Sebbene l’impressione alla vigilia fossero incoraggianti (e forse ingigantite?), nulla si può dire per l’esito deludente nella classifica finale, con “La Noia” sorpassata da canzoni apparentemente fuori dai giochi fino alla settimana posizione. E di lì via al valzer…pardon, alla cumbia delle polemiche, con l’opinione pubblica che spara addosso al sistema e su chi non ci ha fatto brillare fino alla fine: la televisione pubblica. Un mezzo che comunque doveva solo eseguire un codice, un regolamento semplice, con una telecronaca “tifosa” ma anche esperta, ma che ha fallito in entrambe le circostanze. Perché oltre alla diffusione dei voti nei titoli – gli stessi spazi che hanno creato non pochi imbarazzati in altre situazioni – ha pure offerto un commento ‘tecnico’ da Roma abbastanza rudimentale per la portata dell’evento, da ridimensionarlo quasi a un evento fieristico di bassa leva.
Insomma il “codice”, che traduciamo simbolicamente a “code” in virtù della canzone vittoriosa a questo Eurovision Song Contest 2024, è stato sì infranto, ma con errori da dilettanti che hanno minato la credibilità del nostro Paese di fronte agli altri. Ma ciò, secondo il nostro parere, non ha influito sul risultato finale, inteso come “vittoria/non vittoria”. Perché l’Europa, dopo aver fatto trionfare la viralità lo scorso anno con Loreen, è tornata sui suoi passi più “politici” e ha fatto parlare temi forti e scomodi come la “non binarietà”. E la noia, ahinoi, non ha quel pari appeal da metterlo in discussione. La dimostrazione l’abbiamo avuta proprio dalla quasi totalità di voti alti alla Svizzera da parte delle giurie partecipanti, che non hanno lasciato scampo nemmeno a quella Croazia che tanto si era dilettata a creare un sound frizzante e accattivante e nemmeno a quell’Israele tanto spinta al televoto.
Quindi noi italiani, alla fine, non possiamo più di tanto appigliarci a fattori contingentali come quello capitato in itinere con la Rai: anche con un “what if” saremmo arrivati dietro e non avremmo vinto il microfono di cristallo. Dovremmo semmai soffermarci su ciò che davvero vogliamo portare alla luce di tutti tramite il nostro voto al Festival di Sanremo, via d’accesso all’Eurovision: vogliamo regalare un messaggio politico? vogliamo rivoluzionare l’idea di musica? ci vogliamo allineare “ai tempi” musicali? oppure vogliamo rivendicare le nostre origini del “bel canto”? Senza aver mai chiarito questo dubbio, l’opinione pubblica vivrà sempre male questa competizione, con quell’aura di presunzione di essere i migliori in ogni caso e che gli altri siano sempre sopra di noi per qualche “gioco di sistema” o qualche “codice segreto”…