Il mistero dei sogni sottratti: recensione di “Lo strano caso dei sogni rubati”

La perdita dei sogni, quel vuoto che lascia la notte, è un’esperienza comune. Desideriamo un sonno ristoratore, popolato da immagini serene, ma spesso la quiete notturna è turbata. Notti vuote, prive di sogni, o peggio ancora, tormentate da incubi angoscianti, sono la spiacevole conseguenza di ansie e stress accumulati durante la giornata. La mancanza di sogni, però, è qualcosa di diverso: un cortocircuito mentale che impedisce la libera elaborazione emotiva. Sognare ci offre sollievo, un modo per sciogliere le tensioni e godere di un sonno rigenerante. Non è una certezza, ma la speranza di un riposo appagante è sempre presente. La bellezza onirica nasce dall’intreccio tra esperienze reali e fantasie, una trasposizione di frammenti che cela significati profondi. L’assenza di sogni può dunque sembrare una vera calamità. Nel romanzo “Lo strano caso dei sogni rubati” di Salvo Zappulla, l’azione si svolge a Ficodindia, un tranquillo paese siciliano. La serenità viene improvvisamente spezzata quando un contadino denuncia il furto dei propri sogni, una dichiarazione inizialmente derisa dai carabinieri. Ma quando altri abitanti presentano reclami simili, l’insolito caso obbliga le forze dell’ordine, e persino il sindaco e la municipalità, a un’indagine approfondita. Il romanzo si contraddistingue per la vivacità della scrittura, intrisa di quel caratteristico umorismo siciliano. La narrazione scorre libera e ispirata.