Un’Inchiesta Palermitana: Recensione di “Stivali di Velluto”

Un’Inchiesta Palermitana: Recensione di “Stivali di Velluto”

La libertà può essere una gabbia. Un soffocamento emotivo, una prigione invisibile che limita il respiro e la capacità di autodeterminazione, imprigionandoci persino nel nostro stesso corpo. Perdere la libertà di pensare e sentire è come perdere lentamente frammenti della propria esistenza. La capacità di affrontare le avversità è fondamentale; altrimenti, anche le situazioni più semplici possono crollare in un istante, portando a conseguenze disastrose e irreparabili. Alcuni errori sono imperdonabili, macchie indelebili sulla coscienza, che anelano a giustificazioni ma spesso condannano alla reclusione, sia essa fisica che interiore. Ogni individuo porta con sé la propria prigione: ricordi irrisolti, verità nascoste, tutto ciò che ci impedisce di respirare appieno. In “Stivali di velluto” di Giuseppina Torregrossa, ci immergiamo in un caso irrisolto di Palermo, 1977. L’assassinio del direttore di un ufficio postale periferico, con dieci milioni di lire scomparsi e l’arma del delitto mai ritrovata, viene archiviato come una rapina finita male. Quasi cinquant’anni dopo, la giovane ispettrice e profiler Giulia Vella riapre il fascicolo. Questa milanese, catapultata nella caotica e infuocata Palermo, deve confrontarsi non solo con il caso, ma anche con un segreto personale che la ossessiona. Il romanzo è avvincente, una trama intrigante costruita su elementi sorprendenti che mantengono alta la tensione. La scrittura coinvolgente cattura, scuote e lascia un segno indelebile nel lettore.