Rosalia, la Peste e i Pennelli di Francesco Paolo Campione: Un’Analisi dell’Opera di Van Dyck

L’arte cattura l’essenza dei sentimenti, cristallizzando istanti al di là del tempo. I tratti del pennello evocano espressioni, atmosfere e spiritualità, rendendo tangibili le emozioni, sia vissute in prima persona sia osservate nella realtà circostante. Essa celebra anche il dolore, niente sfugge allo sguardo dell’artista, che si immedesima profondamente nella sua creazione, diventando parte integrante del processo. I pittori si fondono con il buio e i colori, trasformando la materia in immagini. Percepiscono l’angoscia della sofferenza e l’odore della morte, insufflando vita nelle tele. Assorti nel fervore creativo, perdono la cognizione del tempo, trapassando i colori, rifinendo e perfezionando il loro lavoro con rigore. Si interrogano sulla propria opera, sprofondando nell’ombra per osservare attentamente ciò che diventerà soggetto della loro ispirazione, lasciandovi significati multipli, alcuni palesi, altri celati come segreti inconfessabili. In “1624. Rosalia, la peste e i pennelli” di Francesco Paolo Campione, ci immergiamo nell’arte di Antoon van Dyck, il celebre pittore fiammingo che, nell’autunno del 1624, dipinse “Santa Rosalia in gloria che intercede per la fine della peste a Palermo”. La protettrice della città è rappresentata anche incoronata da angeli. La Santuzza, venerata con fervore dopo aver liberato Palermo dall’epidemia, è al centro del saggio. Van Dyck giunse a Palermo su invito di Emanuele Filiberto di Savoia per un ritratto, ma la morte del viceré per peste lo costrinse a rimanere, producendo numerose opere dedicate alla Santa. Il saggio è avvincente, arricchendo la conoscenza non solo del maestro fiammingo, ma anche della terribile pestilenza che decimò la popolazione palermitana. La precisione storica è notevole, e la scrittura scorrevole e coinvolgente.