“Pennablù” di Lorenzo Marone | RECENSIONE
Giri e ti rigiri. Quando ti senti braccato ti manca la spinta per fare quello che vuoi. Chiuso in gabbia perdi il senso del reale, ogni cosa ti pare fiacca quasi fosse una condanna. Non essere più libero significa morire un po’ alla volta. La libertà non è solo mancanza d’aria, quella di fuori, che non ti permette di andare dove vuoi, ma è anche quella dell’anima. Non avere nessuna facoltà decisionale, di scelta, per se stessi equivale a tenere le mani legate. Privato delle cose importanti e fondamentali, neanche padrone della propria persona, sbeffeggiato dalla stessa fortuna e dimenticato dalla Provvidenza, rispondi solo al tormento che gira e rigira i pensieri come se fossero acqua al mulino. Non c’è niente da fare, quando manca la libertà di pensiero, di azione, di sognare, sarai braccato dall’ombra di ciò che appare scuro e mai chiaro. Allora, ti sentirai niente o meno del niente.
In Pennablù di Lorenzo Marone conosci una storia buffa. Totò è un pappagallo amazzonico di grande valore. Arriva a Napoli nella casa di don Ciro, un boss della camorra. Una casa dorata. Ma la vita di Totò è difficile, finché non diventa il braccio destro di don Ciro e gli si aprono le porte del paradiso. Alla fine, gira e rigira, il pappagallo sta sempre in gabbia come il suo don Ciro. Una prigione, da cui è impossibile fuggire, quando è l’unica via che si è mai conosciuta.
Il libro è particolare. Con l’ironia di una storia divertente, lo scrittore mette in scena i drammi della vita vera. La narrazione è piacevole e suggestiva.