“I sopravvissuti” di Antonella Presutti Gianna Piano | RECENSIONE
Basta uno sguardo per comprendere la rappresentazione teatrale di un luogo. Alcuni posti appaiono come un palcoscenico, riflettono la luce del loro tempo soprattutto se si è bloccato. In questi luoghi, dimenticati, si vedono le facciate dei loro corpi, case abbandonate e diroccate, ma anche l’anima delle voci che sono diventate sussurri e poi niente più. Piccole o grandi orbite che oscillano a seconda del vento, del pianto, della disperazione. Anche se ti appoggi ai calcagni per recuperare qualche centimetro nel desiderio, immediato, di vedere quello che ci sta oltre l’amicizia, la desolazione, il tacito invito a restare, la situazione non cambia. Diversi, invece, sono gli stati d’animo che accompagnano gli occhi. Allora, avvii una conversazione silenziosa tra te e il luogo in cui hai messo piede. L’abbandono accende la curiosità di sapere che fine abbiano fatto le vite che animavano posti in cui non ci sono più voci. Tutto affiora in paesaggi del genere, nulla è invisibile. Senti ogni cosa quasi fosse necessaria per approntare, poi, la propria esistenza in modo più centrato, calibrato.
In I sopravvissuti di Antonella Presutti Gianna Piano vedi ciò che resta di un borgo settecentesco, Villa san Michele, in Molise. Il paese negli anni Sessanta fu evacuato dopo un periodo di ininterrotte piagge torrenziali. La gente cercò di opporsi, ma la situazione era molto rischiosa. Oggi il borgo è un luogo fantasma, intatto. Villa san Michele è la testimonianza che la natura non va violata, offesa, deturpata. Ci consegnerà, poi, delle risposte chiare e feroci.
Il romanzo ha il tono bucolico pur nell’affresco crudo di una tela impolverata. La narrazione è intensa, emotiva. La storia si costruisce sulla caduta di un paese e la consapevolezza di una risorsa: tutelare la natura.