“È mio figlio, sono la madre e lo porto via con me”: ADDIO ALL’UNILATERALITA’, da oggi il Tribunale evita che te lo strappino I “Gravi motivi dimostrabili”
è mio figlio - pexels- emmepress
“È mio figlio, sono la madre e lo porto via con me”: quante volte l’abbiamo sentito dire? Ma non lo può più fare. Ufficiale, addio alla regola dell’unilateralità. Da oggi il Tribunale evita che te lo strappino
“Gravi motivi dimostrabili”. Se mancano, nessuno può pretendere l’esclusiva: nessuno può impedire all’altro di essere genitore. “È mio figlio, sono la madre e lo porto via con me”: dirlo può voler significare molte cose, ma ascoltarlo può essere un macigno. Una frase che risuona come un colpo al cuore.
Per chi la pronuncia, può essere un grido di dolore, di rabbia, di paura. Per chi la ascolta — ad esempio il padre, spesso impotente — suona come una condanna.
Ma per chi la subisce davvero, anche senza comprenderne fino in fondo il significato, è il figlio: l’unico che non ha scelto nulla, ma che paga tutto.
La separazione e il divorzio restano tra i momenti più delicati nella vita di una famiglia. Anche quando tutto avviene nel rispetto reciproco, con educazione e buon senso, c’è sempre un dolore di fondo.
Separazione e ‘scissione’ tra genitori, cosa dice la legge
Di fatto è la fine di un equilibrio, di una quotidianità. E per un bambino che ha sempre vissuto con entrambi i genitori, la rottura è un trauma, una ferita che può riaprirsi a distanza di anni, specie se le tensioni tra mamma e papà diventano armi di ricatto. Negli ultimi tempi, però, qualcosa è cambiato. La legge italiana ha introdotto innovazioni che molti osservatori hanno definito “storiche”.
In particolare, è stato rafforzato il principio della bigenitorialità, cioè il diritto del minore a mantenere un rapporto stabile, continuativo e significativo con entrambi i genitori, anche dopo la separazione. Non è più solo un auspicio morale: è un diritto riconosciuto e tutelato. Cosa implica tutto questo?

Bigenitorialità: la norma parla chiaro
Questo significa che la madre — o il padre — non può più decidere unilateralmente di “portare via” il figlio, cambiando città o interrompendo i contatti con l’altro genitore, se non per motivi gravi e dimostrabili. I tribunali oggi valutano con maggiore attenzione l’interesse del minore, che non coincide con la volontà di uno solo dei genitori, ma con l’equilibrio psicologico, affettivo e relazionale del bambino.
L’obiettivo è chiaro: evitare che i figli diventino strumenti di vendetta o oggetti di contesa. Perché ogni volta che un genitore pronuncia “è mio figlio”, dimentica che un figlio non appartiene a nessuno. Non è una proprietà, ma una persona in crescita che ha bisogno di entrambi i punti di riferimento, anche se separati, anche se diversi. Se sei un padre che tiene davvero a tuo figlio, non rinunciare in partenza: la fine della storia con tua moglie non implica la fine della tua genitorialità. Anche se non hai dimestichezza con la legge, chiedi aiuto a un avvocato o associazioni di categoria.
