Il Silenzio Urlante di Sofia: Un’Analisi di “Se Camminare Fa Troppo Rumore”

Un incessante andirivieni, un ritmo frenetico dei passi, riflette l’angoscia interiore della protagonista. Ogni passo è un’eco dell’insonnia mentale, un tentativo vano di trovare pace nella ripetizione. Il continuo spostarsi da un luogo all’altro trascina con sé i ricordi, sprofondandoli nel fango della disperazione, confondendo il tempo, rendendo presente ciò che appartiene a un passato irrevocabile. Calpestare frammenti di un passato distrutto, senza comprenderne appieno il significato, può condurre alla follia. Si percepisce una profonda dissonanza: la chiarezza con cui si definiscono le cose si contrappone alla sensazione di estraneità, di non appartenenza. I primi segnali di disagio, inizialmente ignorati, culminano in una bruciante solitudine che spezza ogni legame con gli altri. L’isolamento diventa totale, una reazione difensiva alle sofferenze accumulate. Sofia, la protagonista di “Se camminare fa troppo rumore” di Giusi D’Urso, è prigioniera di un passato che la sovrasta, plasmato dai silenzi e dalle sofferenze altrui di cui è stata testimone silenziosa. La memoria si presenta come un peso, ma al contempo come una fonte di riscatto, una via per superare la ribellione nata dall’incapacità di trovare serenità, una dura lezione di vita. Il romanzo ci immerge nella claustrofobia di una stanza, il rifugio apparentemente sicuro di Sofia. Attraverso un’alternanza di momenti di lucidità e delirio, la donna ripercorre la sua esistenza, fatta di traumi e sofferenze nella città di Pisa, percepita come ostile e inospitale. Alcuni ricordi sono particolarmente dolorosi, legati al peso di una famiglia patriarcale. Con il passare del tempo, Sofia subisce un progressivo deterioramento, non solo sociale, ma anche psichico, che la porta a un costante conflitto interiore. L’opera colpisce per la sua intensità emotiva. La scrittura, intrisa di dolore, è ricca di significati impliciti, che un lettore attento riesce a cogliere pienamente.