L’ombra del rimpianto: una riflessione su “Viva il lupo” di Angelo Carotenuto

Il peso del rimorso attanaglia, un dolore lancinante per ciò che non si è saputo impedire. Spesso, ci si tormenta ingiustamente, senza colpa, per una parola detta fuori luogo. L’inadeguatezza si insinua, deformando la percezione della realtà. Ciò che prima appariva normale si trasforma in una distorsione, creando fratture nell’animo. Si rianalizzano le emozioni, si scrutano i dettagli sfuggiti, la superficialità con cui si sono affrontate certe situazioni diventa fonte di vergogna. La routine quotidiana, con la sua cappa soffocante, oscura le sfumature, proprio quelle che offrono risposte a dubbi e inquietudini. La verità, quando finalmente si palesa, lascia attoniti, rivelando la propria ingenuità. A volte, la consapevolezza giunge troppo tardi, lasciando spazio al rimpianto. In “Viva il lupo” di Angelo Carotenuto, questo tema è centrale. Silenzi che generano incomprensioni, distanze che si allungano, soprattutto tra le generazioni. Gabriele Purotti, cinquantenne leader dei Dorita, un gruppo rock noto al grande pubblico come “Puro”, giudice di successo nel talent show televisivo “Viva il lupo”, si ritrova afono. La sua voce, strumento del suo successo, svanisce dopo la morte di Tete, una sedicenne dal talento straordinario, respinta alle audizioni proprio dal suo voto decisivo. Il rimorso lo travolge, innescando una duplice ricerca: interiore ed esteriore. Desidera conoscere Tete, ricostruire la sua vita, i sogni infranti. Un incontro inaspettato ridefinisce il suo percorso. Il romanzo affronta con sensibilità temi quali la sconfitta, l’arroganza, l’agguerrita competizione, i desideri, le debolezze umane. La trama è ben costruita, coinvolgente, la scrittura scorrevole e avvincente.