Ogni mattina, al risveglio, ci troviamo sommersi da un mare di pensieri. A volte, persino alzarci dal letto è una sfida. Il nostro umore è intimamente legato alle emozioni, che a loro volta sono il riflesso dei nostri pensieri. Un circolo vizioso, specialmente se si aspira alla felicità coltivando pensieri negativi. La nostra confusione nasce dalla frammentazione interiore: in noi coesistono diverse parti, con aspirazioni e modalità d’azione talvolta contrastanti. Appagare una parte di noi significa inevitabilmente contraddire un’altra, spingendoci a identificarci con un singolo tratto caratteriale o comportamento, etichettandoci come buoni, cattivi, eccentrici o “folli”. Ma la verità è che ciascuno di noi è capace di sperimentare tutte queste sfumature emotive, persino contemporaneamente, se solo si permette di esprimerle liberamente. La tristezza può sopraggiungere senza un apparente motivo, così come la rabbia può sostituire la gioia, lasciandoci disorientati. Siamo diventati imprevedibili? O semplicemente, rifiutando di ascoltarci, ci sforziamo di essere qualcosa che non siamo, condannandoci alla delusione? La società moderna, frenetica e iper-performativa, ci chiede di eccellere in ogni ambito, nonostante la facilità con cui oggi si accede a beni e servizi. Ironia della sorte, questo accesso semplificato non elimina la nostra confusione interiore. Mia nonna, vedova con nove figli, aveva una vita dura ma le idee chiare. La sua unica preoccupazione era la salute, poiché la sua mancanza avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile. Oggi, la durata media della vita è aumentata di circa trent’anni. Potrebbe essere proprio questo aumento di tempo a generare incertezza e indecisione? L’eccesso di tempo e possibilità di rimandare ci lascia con un presente insoddisfacente. La confusione, insita in noi, si riflette nel mondo esterno, contrapposta all’ordine che aneliamo e che osserviamo altrove. Diventa quindi cruciale, soprattutto con l’avanzare dell’età, chiarire i propri obiettivi e lavorare per raggiungerli. Il dubbio mi assale: è forse l’abbondanza di possibilità, la possibilità di essere chiunque, a generare questo caos mentale? Temo che l’eliminazione di percorsi professionali tradizionali, sostituiti da un semplice titolo di studio, abbia creato un senso di diritto a un posto che non può essere per tutti. Questo caos potrebbe derivare dall’incapacità di accettare un ruolo modesto in questo grande universo. Non si tratta di sminuire le proprie capacità, ma semplicemente di considerare la possibilità di dedicare il proprio valore a chi lo merita, evitando la frustrazione della competizione sfrenata. Ho imparato a dare valore a me stesso, pur commettendo errori e cadendo nella confusione. Aspettative deluse, silenzi in risposta alle mie domande, arroganza al posto del rispetto. Ora ho smesso di aspettarmi qualcosa, accontentandomi di ciò che arriva, riconoscendolo come autenticamente mio. Dentro di noi coesistono bellezza e bruttezza, momenti di euforia e di sconforto. L’unico modo per evitare la confusione è accettare l’inevitabile variabilità del nostro stato d’animo. È inutile definirsi con poche parole: siamo e saremo tutto ciò che ci permetteremo di essere. L’unico modo per scoprire veramente chi siamo è chiederci ogni sera: “Cosa sono stato oggi?”
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