Un Viaggio nel Tempo: Recensione di “Il Re di Carta” di Maria Elisabetta Giudici

Il passato, un’incessante presenza nei sogni e nelle ore di sconforto, è una costante immutabile: esiste, è esistito. Il futuro, invece, rimane un enigma. Alcuni cercano rifugio nel passato per ricostruire la propria vita, altri lo ignorano, procedendo senza voltarsi indietro. Eppure, il passato custodisce spunti, energie, risposte alle domande che affiorano dalla nostra mente, desideri latenti. Quando il senso di appartenenza alla storia familiare e alla propria terra è profondo, i racconti di chi ci ha preceduto risuonano con forza. In molti, questa consapevolezza accende il desiderio di definire la propria identità, confrontandosi con l’eredità del passato. Scavare tra ricordi e narrazioni dimenticate, costruire nuove storie sulle fondamenta di quelle che ci hanno formato, significa respirare a pieni polmoni, trovare nuova linfa vitale. Ogni storia, qualunque essa sia, necessita di menti acute in grado di far luce sul passato per dare forma a una nuova scrittura, a nuove narrazioni che, a loro volta, diventeranno storia e alimenteranno altre storie, in un ciclo infinito. Il passato, dunque, non è un segno di fragilità, ma il punto di partenza per costruire la propria esistenza. Nel romanzo “Il Re di Carta” di Maria Elisabetta Giudici, seguiamo l’intensa connessione di una donna americana alla terra d’origine della madre e dei nonni. Dopo un’infanzia segnata dalla povertà newyorkese, un incontro fortuito con un parente porta Margherita a scoprire agio, ricchezza, nuove opportunità e contatti influenti, che le regalano un’esistenza tranquilla. Mentre studia, Margherita ricorda le storie dei nonni, che, tra stenti e sofferenze, lasciarono un piccolo paese della Ciociaria per emigrare in America. Sposata con un uomo dissoluto, fannullone, avido e parassitario, diseredato dal padre e dedito al lusso sfrenato e alle avventure con le donne altrui, Margherita si trasferisce nel paese natale della madre. Qui, trova un significato profondo alla sua esistenza, dove ogni conquista richiede impegno e determinazione, persino nel contesto sfavorevole della Seconda Guerra Mondiale, con le truppe tedesche sul territorio. Si ritrova a dover proteggere il tesoro di Beranger, un tesoro che già nel 1861 due briganti avevano tentato di nascondere per salvare Francesco II di Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie. La trama è sorprendente, lo stile narrativo accattivante. Nulla è mai ciò che sembra, i colpi di scena sono magistralmente costruiti, tenendo il lettore con il fiato sospeso. Ogni volta che si pensa di aver anticipato gli eventi, ci si trova smentiti. L’intreccio è ricco di emozioni e suspense, tanto da far sentire il lettore immerso in un film, un’esperienza coinvolgente e totalizzante, che culmina in una rivelazione finale.