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L’ottantesimo compleanno di Bob Dylan: un’icona musicale che ha plasmato il XX secolo

Il 24 maggio, Robert Zimmerman, noto al mondo come Bob Dylan, ha celebrato l’ottantesimo anniversario. Questo traguardo segna la conclusione di un ciclo straordinario per un artista che ha incarnato molteplici ruoli: mito, leggenda, ribelle, poeta. Nato in una famiglia di origini ucraine e di fede ebraica, Dylan si innamorò del folk di Woody Guthrie e delle canzoni di protesta degli anni ’30 e ’40. Lasciando la bottega elettrica del padre a Duluth, nella sua giovinezza, si trasferì a New York, abbandonando il nome di battesimo per adottare lo pseudonimo di Bob Dylan, forse ispirato dal poeta Dylan Thomas. Al Greenwich Village, si guadagnò una discreta notorietà, ottenendo un contratto con la Columbia Records che pubblicò il suo primo album omonimo nel 1962. La svolta arrivò l’anno successivo con “The Freewheelin’ Bob Dylan”, contenente inni generazionali come “Blowin’ in the Wind”, “Masters of War” e “A Hard Rain’s A-Gonna Fall”. Questi anni d’oro videro la musica di Dylan intrecciarsi al pacifismo, culminando con “The Times They Are a-Changin'”, inno per i diritti civili. Nell’estate del 1963 partecipò alla marcia su Washington, condividendo il palco con Joan Baez e Martin Luther King. Da allora all’ultimo album, “Rough and Rowdy Ways”, Dylan ha assunto innumerevoli identità: profeta dei diritti civili, rivoluzionario del rock, poeta biblico, rinnegato dal folk puro, esploratore delle radici americane, artista gospel e soul, rockstar country, persino attore in film di serie B. Ebreo errante, ha riscoperto Sinatra nella maturità, rimasto una figura inafferrabile, ha costruito una mitologia personale, un nome inventato (Robert Allen Zimmerman, 1941), una storia e un destino imprevedibile. La sua opera ha permeato la coscienza collettiva occidentale: le sue parole, veicolate da folk, blues o swing, sono proverbiali, presenti nelle nostre vite. Il suo impatto va ben oltre la rivoluzione rock degli anni Sessanta. “Love Sick”, ad esempio, è stata reinterpretata dagli White Stripes; la cover di “Make You Feel My Love” da parte di Adele ha dimostrato l’influenza duratura di Dylan, le cui canzoni sono state riprese innumerevoli volte, da artisti gospel ad Elvis Presley, dai Ramones ai Guns N’ Roses. Dylan non è solo un “tempio del passato”, ma un vortice di contraddizioni e paradossi, un moltiplicatore di significati. Tra le sue canzoni, molte esclusa dagli album ufficiali, riemergono come classici nel tempo (“Blind Willie McTell”, “Series of Dreams”, “Dreamin’ of You”, “Dignity”). Le “Bootleg Series” contengono materiale inedito e collaborazioni straordinarie, come quelle con Johnny Cash e George Harrison. Dylan è stato un creatore di un’epoca, anticipatore dei tempi, un vero profeta.

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