L’esitazione paralizza il pensiero, inibendo l’espressione. La paura di sbagliare impone il silenzio, generando un’ansia che si manifesta anche nelle più piccole situazioni, provocando rossori e imbarazzo. L’incapacità di reagire, di trovare le parole giuste, lascia che il silenzio parli al posto nostro. Anche quando si supera la soglia del disagio, l’azione compiuta, col tempo, perde di interesse. La prontezza d’animo, invece, genera stupore. L’indecisione erode la pazienza e la curiosità. L’insicurezza, in definitiva, è una forma di smarrimento. Si perde tempo a ponderare le azioni, a decidere cosa chiedere, cosa è giusto pretendere per se stessi. Si rimane intrappolati in problemi insignificanti. Il peggio, però, accade quando l’insicurezza blocca il cammino. Si perde se stessi, e ritrovarsi non è un’operazione semplice, scontata, perché richiede di affrontare il rischio, di avventurarsi in territori inesplorati. Bisogna superare quell’ombra alimentata dall’incertezza; nessuno può farlo al nostro posto. Si può procrastinare, rifiutare, ma la coscienza ci presenterà il conto, istante dopo istante. E quel peso è gravoso. In “Clara e Maicol” di Vale Deidda, viviamo il tormento di Clara, che ha fatto dell’indecisione un pilastro della sua vita. La sua non è stata un’esistenza facile. Orfana fin dalla nascita, perde da adulta anche la nonna che l’ha cresciuta. Clara non sa gestire l’imprevedibilità, si blocca, diventando insicura e timida. Troverà l’amore, imparando ad aspettare, ma si ritrarrà non appena il quadro emotivo si definisce. Eppure, le apparenze ingannano. L’emotività, travalicando i confini dell’insicurezza, la riporta alla sua fragilità iniziale, ma questa volta con una consapevolezza maggiore. La storia è intima ed evocativa, la narrazione suggestiva, lo stile pulito. Un’unica svolta narrativa scuote il lettore, un colpo di scena ben orchestrato, che sorprende e smentisce le aspettative, creando un effetto memorabile. Tuttavia, il romanzo presenta una debolezza strutturale: l’assenza di capitoli, che avrebbe conferito ritmo e chiarezza alla narrazione. La mancanza di punti di riferimento compromette l’ordine e la forma del racconto.
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