Elisabetta: un’anima a specchio | Riflessioni su un’opera di Nadia Fusini

Elisabetta: un’anima a specchio | Riflessioni su un’opera di Nadia Fusini

Il tempo cancella, occulta; la ricerca spasmodica è vana quando il bilancio è concluso, la resa prossima. Ai confini dell’esistenza, i ricordi riacquistano intensità, illuminando con nitidezza un passato irrecuperabile, un susseguirsi di momenti di silenziosa malinconia. La memoria illude di poter rivivere quei frangenti, di espiare colpe sottovalutate. Nel cammino verso l’oblio, si cerca di alleggerire il peso delle scelte che hanno plasmato il tempo, lasciando che il cuore celebri le gioie passate. Ripartire verso un futuro inesistente, per occhi prossimi alla chiusura, rischia di lacerare l’anima. Eppure, la rinuncia sarebbe un cedimento. Tra i sussurri di immagini perdute, l’esistenza vissuta si dissolve in un vortice di parole che sopravvivono. Inizialmente evanescenti, queste diventeranno poi una consapevolezza generatrice, una necessità. “Lo specchio di Elisabetta” di Nadia Fusini ripercorre con lucida precisione i ricordi della sovrana inglese. Morente, Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, chiama a corte il suo figlioccio, il giovane Jack. Quarantaquattro anni di regno hanno consacrato la sua grandezza. Ora, di fronte al suo devoto protetto, si abbandona al fluire dei ricordi, come a un riflesso. La regina si giudica con spietata onestà. “Sono unica, è vero: ma sai cosa significa? Che sono sola”. Il suo sguardo critico si estende al mondo, alla politica e alle arti, trasformate dalla sua guida, da quella di un’astuta e irrefrenabile protagonista. Il libro è un vivido affresco storico, ma anche la confessione intima di un’anima consapevole del ruolo e del potere conferiti dalla corona. Una narrazione scorrevole e suggestiva, capace di lasciare il lettore pienamente appagato.