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“L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” di Giovanni Di Marco | RECENSIONE

Le verità impronunciabili sono terribili. Hanno l’effetto di sentenze feroci che fiaccano l’animo. Si possono aggredire con la rabbia, che è tipica di chi rifiuta la realtà. Si sputa livore quando i segni contagiano, poi, anche i pensieri. All’inizio, si è sconcertati. Increduli. Si sceglie il silenzio per proteggersi e quando la verità è brutta brutta si annusa anche la paura. I poteri forti sanno come accendere la menzogna per zittire l’autenticità dei fatti. E se l’inconfessabile appartiene alla mestizia di taluni preti che, tra le pieghe della talare, nascondono la loro perversione, allora i silenzi sono finanche protetti. Quando la loro mano tocca quella dei bambini per lasciarsi andare agli istinti beceri da depravati e pervertiti, la verità è indicibile. Si è assaliti dallo schifo, ma anche dalla vergogna. La parola delle vittime e quelle dei pedofili, che scaricano navate di falsità per proteggersi, resteranno recluse nella memoria. Nessuno dimentica. Nessuno riesce a farlo, troppo dolorose sono le ferite e troppo gravi le colpe. Nella vetrina delle bugie, inscenate per assolversi, resiste lo squallore. Se sei un porco il tanfo della melma non lo sentirai nemmeno e se ti nascondi dietro a Dio sei semplicemente un ignobile infame.

In L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi di Giovanni Di Marco finisci dentro l’anima di un bambino. Tonino ha sette anni quando la madre muore dando alla luce il suo terzo figlio. Il giorno del funerale coincide con l’attentato al Papa Wojtyla. Tutti in paese parlano del Santo Padre e nessuno pensa più alla morte della donna, anche la funzione celebrata da Padre Alfio è sbrigativa. Tonino è intelligente, curioso, ama il calcio.La perdita della madre è un trauma, ma un giorno qualcosa in lui si spezza definitivamente. Lo capirà con uno sguardo e con una manata. Tania, la sua vicina di casa, sarà la speranza della sua salvezza. Tonino si deve liberare di tante cose e tanti sono i tentativi di riscatto che lo vedono in fin troppo grande per quello che ha vissuto e per l’età che ha.    

Il romanzo è forte, coraggioso. Lo scrittore non usa mezze misure, non esistono i chiaroscuri in una prosa che ti lascia senza parole. Storie terribili vanno raccontate per come sono e Di Marco non è mai banale, scontato, stanco. Il suo stile è impeccabile, grazie anche a quella punta di ironia che lo rende originale. È bravissimo, Giovanni Di Marco. Il lettore legge, sacramenta ed impreca da solo, tanto forte è ciò che sente e che non dimentica.

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.