La testimonianza di Primo Levi: “Se questo è un uomo”

La testimonianza di Primo Levi: “Se questo è un uomo”

Ridotti a gusci vuoti, spogliati di ogni dignità umana, i deportati di Auschwitz strisciavano nel profondo della disperazione. La speranza, persino il desiderio di redenzione, si erano estinti in corpi consumati dalla sofferenza. L’esistenza, al di là di ogni limite umano, era un respiro affannoso sotto il sole crudele, giorni che scorticavano l’anima. Identità cancellate, volti offuscati da memorie incerte, riducibili solo ai numeri tatuati sulle braccia: l’unico legame con una vita che vita non era più. Umiliazioni, violenze, fame, estenuante fatica, il gelo, regole disumane per ottenere una misera razione di cibo. Ad Auschwitz, i nazisti non si limitarono a torturare i corpi degli ebrei; vilipesero le loro anime, prosciugandole di ogni forza vitale. Ma la follia di non essere più se stessi resistette alla stanchezza, sebbene la volontà si dissolvesse nella lotta per sopravvivere ad ore che sconvolgevano ogni significato della vita. La premeditata brutalità nazista, paradossalmente, forgiò negli ebrei una umanità superiore a quella dei carnefici. “Se questo è un uomo”, di Primo Levi, è la toccante testimonianza di un sopravvissuto ad Auschwitz. Levi descrive la disumanizzazione inflitta ai deportati, considerati meno che niente. Con la crudezza della realtà vissuta, l’autore narra gli eventi, le emozioni provate, senza mai cedere all’odio. Non perdona, ma testimonia ciò che ha visto e subito, un’esperienza che ha cancellato perfino la speranza di salvezza per la maggior parte dei deportati. Levi, tra i pochi sopravvissuti, ci consegna questa eredità di dolore e resistenza.