L’Eredità di Abraham | Un’analisi di “Greensleeves”

L’Eredità di Abraham | Un’analisi di “Greensleeves”

Per alcuni, il passato si trasforma in un’ossessione inesorabile. Eventi dolorosi si ripresentano con insistenza, un peso impossibile da scrollarsi di dosso. Questi ricordi laceranti prosciugano le energie fisiche e mentali, stringendo lo stomaco in una morsa che suscita un irrefrenabile desiderio di sonno, un rifugio dal dolore e dai pensieri ossessivi. Il passato infligge sofferenza, ci imprigiona, eclissando le nostre qualità migliori e soffocando la nostra capacità di respirare liberamente. Superarlo è arduo, soprattutto dopo un amore profondo. Si crea un circolo vizioso: le giornate scorrono inesorabili, ma la mente rimane imprigionata nel passato, ripercorrendo i ricordi in un processo autonomo, inaspettato, che toglie il respiro e il sonno. L’assalto avviene quando la guardia è bassa, trascinandoci in un vortice ossessivo, sempre sullo stesso evento. Immaginare un cambiamento, modificare quel frammento del passato, significherebbe raggiungere la felicità e la serenità, ottenere finalmente la pace che tanto si desidera. Il passato, infatti, costituisce l’epigrafe del nostro vissuto emotivo: le esperienze positive avanzano autonomamente, alimentate dalla gioia, mentre quelle negative ristagnano, trasformandosi in una palude che ci inghiotte. Le parole pronunciate e ascoltate risuonano incessantemente, in un grido vuoto che echeggia nel buio del ricordo. Ci si dibatte nella disperazione, lottando per liberarsi da questa apnea emotiva. In “Greensleeves” di Maurizio Secchi, Abraham lotta contro ricordi devastanti che gli avvelenano l’esistenza. Il giovane è tormentato da un passato che rischia di inghiottirlo, un passato che, sorprendentemente, potrebbe non essere mai esistito. La storia è intensa, capace di coinvolgere profondamente il lettore, anche se la trama, apparentemente chiara, lascia un senso di incompletezza, un’impressione di qualcosa di sfuggente che si cela tra realtà e finzione.