L’ombra della violenza: un’analisi di “Lidia Grassi” di Sonia Di Furia

L’ombra della violenza: un’analisi di “Lidia Grassi” di Sonia Di Furia

L’incredulità, la paralisi, l’angoscia: queste sono le sensazioni che travolgono chi diventa vittima di violenza. Un senso di precarietà esistenziale, una costante paura, un’inquietudine profonda. La sicurezza personale vacilla, la fiducia nel mondo si frantuma, persino la tranquillità della propria casa non è più garantita. La mente diventa un vortice di pensieri confusi, le prospettive future sembrano impervie e la speranza si affievolisce. La denuncia è fondamentale, ma la tutela dello Stato spesso si perde nella burocrazia, lasciando le vittime sole e deluse di fronte a una giustizia che appare lontana e inefficiente. In “Lidia Grassi: Genesi di un’investigatrice dilettante” di Sonia Di Furia, seguiamo Lidia, una studentessa di Giurisprudenza ad Ariano Irpino che aspira a diventare pubblico ministero. La sua vita viene sconvolta quando il cugino Fabio diventa vittima di stalking, spingendola a intraprendere una propria indagine. Seppur dettagliato e preciso, il romanzo pecca di un eccesso di minuziosità che soffoca l’emotività e l’immaginazione del lettore. La cronaca minuziosa sovrasta la narrazione, impedendo allo sviluppo di suspense e mistero. L’investigatore dilettante, in questo contesto, non trova spazio per la complessità. Il ritmo narrativo, infatti, si affretta a risolvere l’enigma, privando il lettore della soddisfazione di un’indagine coinvolgente e del piacere di un lento svelamento della verità.