L’isolamento di Filottete: un’analisi poetica della solitudine

Gli sguardi, a volte, non si incontrano. La comunicazione silenziosa misura distanze, crea vuoti. La solitudine, una voce insistente nel silenzio del dolore, grida senza risposta. Il peso del vuoto, scuro come la notte, risucchia nell’abisso dell’isolamento, spegnendo i colori e amplificando la tristezza fino a traboccare. Solo toccando il fondo, con la forza di volgere lo sguardo verso un orizzonte nuovo, si trova la via per respirare. Uscire dalla propria prigione richiede coraggio, la rinuncia alle emozioni, all’amore, alle quotidiane incombenze, per una solitudine che soffoca. Nell’abbandono, nella gelida solitudine, persino le lacrime ghiacciano. Si diventa ombra, un semplice filo, tempo sospeso. E’ il tempo che si implora per tornare a vivere pienamente. In “Filottete ovvero I vuoti ancora da sfamare” di Grazia Procino, si ripercorre il cammino dell’eroe greco. Le disgrazie non scalfiscono la sua grandezza. L’arciere, pur nella morsa del dolore, trova la forza di resistere, di porre un limite alla sofferenza. Il coraggio è un salvagente. L’intensità del poemetto è data dalla delicatezza e dall’eleganza dei versi, da una scrittura ipnotica, che cattura il lettore ad ogni parola.