L’ombra della normalità: una recensione di “I gatti vedono meglio al buio”

L’ombra della normalità: una recensione di “I gatti vedono meglio al buio”

La quotidianità, spesso ignorata, cela una molteplicità di volti, alcuni nitidi, altri offuscati dalle proprie contraddizioni. Questa apparenza superficiale, talvolta rassicurante, può nascondere una realtà ben più complessa, perfino oscura. Le apparenze ingannano, le ombre si allungano e la leggerezza si trasforma in un peso insostenibile, una gabbia invisibile che imprigiona. La fuga dalla realtà, il camuffamento, sono inutili; la normalità avanza inesorabile, lasciando dietro di sé solo la nebbia della cecità. Ma esiste un aspetto della quotidianità inquietante, un lato oscuro che nessuno vorrebbe affrontare. Il romanzo “I gatti vedono meglio al buio” di Elisabetta Benedetti ci immerge in questo mondo sommerso, un abisso di segreti che si celano alla vista, anche quando la chiarezza sembra assoluta. Emarginati, persone ai margini della società, folli: vittime di pregiudizi e di se stessi, condannati all’isolamento, possiedono tuttavia una lucidità e un’intuizione che mettono in discussione i canoni della normalità. Portano il loro fardello, ma forse sembra meno pesante, forse perché non implorano pietà. In questo contesto, si intrecciano le storie di vittime innocenti, uccise da un serial killer dalla mente lucida, un giustiziere virtuale che opera a Trieste. La narrazione è avvincente e ricca di suspense. L’autrice padroneggia il genere noir, dispensando indizi con maestria, senza mai rivelare troppo. I personaggi sono ben caratterizzati, le loro personalità sono studiate con cura, in un’analisi psicologica profonda e coinvolgente. La storia, intrisa di dettagli e intuizioni, si legge con un senso di sicurezza e coinvolgimento.