La tristezza dilagante: recuperiamo la spensieratezza

La tristezza dilagante: recuperiamo la spensieratezza

Il peso del corpo è una lotta per alcuni, un desiderio per altri. La mente, potenzialmente più leggera, non sempre lo è. La felicità è un dono prezioso, la capacità di dipingere il mondo con i colori dell’amore e del buonumore. Tuttavia, la percezione altrui ci plasma, e il giudizio esterno pesa sulla nostra autostima. “Gaio”, termine un tempo sinonimo di allegria e compagnia, è diventato controverso, associato spesso – erroneamente – a una specifica identità sessuale, scatenando polemiche e discriminazioni. La sua evoluzione semantica è un esempio di come un concetto positivo possa essere distorto e reso oggetto di stigma. Oggi, si premia la serietà, i tatuaggi, l’espressione dura. Un sorriso a uno sconosciuto è considerato fuori luogo, persino pericoloso. La gioia non è più un diritto universale, ma un privilegio per pochi. Il diverso spaventa, e la bellezza della spensieratezza è negata, nascosta, addirittura ritenuta vergognosa. Ci accontentiamo di esistere nell’ombra, piuttosto che condividere la nostra felicità. Essere “gaio”, in senso originario, non è una questione di orientamento sessuale, ma uno stile di vita libero e leggero. Oggi, paradossalmente, l’accettazione dell’omosessualità (“gay”) ha soffocato la gaiezza, la genuina allegria. Si preferisce lamentarsi, mimetizzarsi nella tristezza collettiva. Le battaglie per i diritti, seppur importanti, rischiano di proteggere pochi a discapito di molti, riflettendo un malessere diffuso. La società, ossessionata dal funzionamento del sistema, dimentica gli elementi fondamentali della vita: la gioia, l’amore, la spensieratezza. L’invito è a coltivare le emozioni positive, a non rinnegare nessuna parte di sé, a sorridere, ad abbracciare la felicità, nonostante le pressioni sociali.