Una riflessione sulla scrittura come salvezza

Una riflessione sulla scrittura come salvezza

L’oscurità amplifica i pensieri, rendendoli quasi tangibili. Ogni preoccupazione, ogni dubbio, assume una forma distinta, una voce silenziosa che sussurra nel vuoto. La lingua si rifiuta di articolare le parole, ma la mente è un turbine incessante di ansie e paure. Ci si sente intrappolati, come un naufrago in balia di una tempesta interiore, un’agitazione che sembra voler distruggere ogni barlume di serenità. Allora, la scrittura diventa un rifugio, un’ancora di salvezza. È un viaggio nell’emotività, un percorso catartico che trasforma il caos interiore in parole, in rivelazione. La confusione si stempera, le ossessioni si placano, il tormento si fa miele. La fuliggine del dubbio lascia spazio alla chiarezza. La paura rimane, così come l’incertezza del futuro, ma ora è mitigata da una nuova consapevolezza, da un bagliore di speranza. Si è esplorato un territorio inesplorato, un mondo interiore fatto di parole che si trasformano in melodie, in luoghi di pace. L’angoscia potrebbe tornare, ma la scrittura rimane uno strumento di liberazione, un modo per trasformare la follia in sentimento, la desolazione in rinascita. In “Un sogno (quasi) reale” di Simone Ceccarelli, viviamo le inquietudini del protagonista, uno specchio dell’autore stesso. Una mente che lotta contro il peso delle proprie riflessioni, che si confronta con il vuoto e l’assalto dei problemi. In questa lotta interiore, la scrittura diventa forza, punto di partenza e di approdo. Un mezzo per osservare la realtà con maggiore chiarezza, per restare ancorati alla quotidianità. L’autore trova ispirazione anche negli incontri con personaggi vivaci e stimolanti, ma soprattutto in un’introspezione profonda, alla scoperta di verità nascoste. Lo stile è intimo e riflessivo, le osservazioni acute e originali, anche se il lettore potrebbe trovare alcuni passaggi eccessivamente lunghi in un racconto di breve respiro.