La fragilità delle reti digitali e il trionfo delle “principesse” nel Grande Fratello Vip

L’interruzione dei servizi di Zuckerberg ha messo in luce la nostra dipendenza pervasiva dalla tecnologia, una realtà che si è palesata con la disperazione diffusa degli utenti impossibilitati ad accedere alle piattaforme. Per sette ore, l’assenza di notifiche, messaggi e suoni ha paradossalmente rivelato un’inattesa serenità, suggerendo che la vita sociale era fiorente anche prima dell’era digitale. Nel frattempo, la televisione ha assistito a importanti cambiamenti di rotta. Pier Silvio Berlusconi ha deciso di ripristinare le sezioni dedicate al gossip nei programmi di Canale 5, forse per evitare un calo di ascolti o per mitigare la monotonia che aveva caratterizzato la programmazione. Barbara d’Urso e Federica Panicucci torneranno così a intrattenere il pubblico con cronaca rosa e, in particolare, con le vicende del Grande Fratello Vip. Sebbene apprezzassi la nuova direzione dei programmi, un pizzico di leggerezza è sempre benvenuto. Il reality show, dopo un inizio piatto, ha finalmente preso vita con l’emergere di alcune dinamiche tra i concorrenti. Alcuni partecipanti sarebbero stati meglio a casa propria, ma, anche elementi apparentemente insignificanti possono rivelarsi utili. Tra chi si abbandona a rivelazioni intime discutibili come Amedeo Goria e chi recita in modo poco convincente, come Alex Belli, le “Princesses” si sono imposte come protagoniste indiscusse. Il loro stile appariscente, i loro atteggiamenti prepotenti e le supposizioni sulla loro reale nobiltà hanno catturato l’attenzione, anche se le loro motivazioni non sono certamente le più nobili. Per loro tutto è un gioco, ma il GFVip rappresenta un’ambita vetrina per la loro ascesa al successo. Incommentabile rimane Katia Ricciarelli, che sembra dimenticare che il suo talento operistico non è universalmente apprezzato e che il pubblico la ricorda più per il suo matrimonio con Pippo Baudo che per le sue doti artistiche. La regia e gli autori del programma, nel descriverli come “massa di imbecilli e celebrolesi”, hanno involontariamente espresso una verità ironica, offuscata dalla loro stessa indignazione.