Il dolore, in tutte le sue manifestazioni fisiche ed emotive, è un maestro severo. Ci insegna, soprattutto, a valorizzare la semplicità dell’esistenza. Le piccole illusioni che scandiscono le nostre giornate assumono un peso differente, più profondo. Non è obbligatorio attraversare la sofferenza per comprendere alcune realtà, ma superarla è fondamentale. Evitare il dolore sarebbe comodo, ma poco istruttivo. È così che misuriamo le nostre mancanze, le dimenticanze, le passioni e le ossessioni. La sofferenza è inseparabile da un demone interiore. Affrontarlo, domarlo, o semplicemente accettarlo, sono scelte che definiscono i momenti di turbamento. Ansia e angoscia raggiungono il culmine persino di fronte al pensiero della morte. Riflettere sulla morte non è inappropriato, anzi, parlarne rappresenta un atto di coraggio. Negare questa realtà sarebbe ingenuo, una sorta di auto-inganno che offusca la verità. Tutte le nostre esperienze derivano dalle emozioni e si estinguono in loro assenza. Vita e morte, bellezza e sofferenza: due coppie di opposti che guidano i nostri pensieri, senza impedire quella naturale disorientamento che conduce alla riconciliazione con l’esistenza. “Demone custode”, di Paolo Sortino, ci immerge in una narrazione intima, dolorosa, ma catartica. Un racconto essenziale per comprendere la tempesta interiore che si abbatte sulla mente di fronte alla sofferenza, alla morte e alla vita stessa. Un percorso che ci spinge oltre i limiti del conosciuto, abbracciando ciò che è stato e ciò che è. Un viaggio ritmato da un impulso indulgente verso la memoria e il futuro. Il romanzo non si limita a raccontare una storia, ma accompagna il lettore attraverso una scrittura pacata e suggestiva, nelle intricate traiettorie dell’esistenza, tra vita e morte.
L’eredità del dolore: un’analisi di “Demone custode” di Paolo Sortino

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