Osservando le vite altrui: un’analisi di “Le affacciate” di Caterina Perali

Inizialmente, la tranquillità ci avvolge, accecandoci alle potenziali turbolenze. La serenità, appagante e completa, oscura qualsiasi pensiero al futuro. Poi, improvvisamente, tutto cambia. Nessun preludio, forse qualche flebile indizio, ma la rottura giunge inaspettata, quando le certezze crollano e ci sentiamo disorientati. La sicurezza che ci guidava svanisce, lasciandoci inermi. Ci isoliamo, evitiamo gli sguardi indiscreti e le domande inopportune. Ci allontaniamo da ciò che prima era familiare, scoprendo un mondo sconosciuto, una realtà nascosta che si cela dietro la disperazione, un percorso di scoperta, di condivisione e persino di accettazione di un mistero silenzioso. “Le affacciate” di Caterina Perali intreccia le vicende di diverse donne, storie che si sviluppano su piani paralleli, unite da un’emotività che le lega e le separa. Alcune sono oppresse da una disperazione silenziosa che le isola dalla vivacità della vita; altre, invece, trovano rifugio in quell’atmosfera per proteggersi da un dolore maggiore, ritrovando così forza. La protagonista, dopo aver perso il lavoro, cade nell’inerzia, trascorrendo le giornate a osservare gli edifici circostanti. La sua attenzione si concentra su una vicina schiva, fulcro misterioso di un trio di donne anziane: la minuta, la vistosa e la robusta. Il romanzo cattura l’attenzione del lettore con una narrazione coinvolgente e una scrittura elegante, semplice ma suggestiva, che mantiene il lettore incollato alle pagine fino all’ultima parola.

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