La guardiana del silenzio: una riflessione su “Una ladra in biblioteca”

La guardiana del silenzio: una riflessione su “Una ladra in biblioteca”

Il dolore, spesso evitato, ci impedisce di comprendere appieno la vita. Esso, però, ha il potere di dissolvere le superficialità, spingendoci a confrontarci con le nostre profondità, a volte con caduta, a volte con ascesa. Il cambiamento, inevitabile conseguenza della sofferenza, ci costringe ad affrontare ciò che ci sfugge. Spesso, nel tentativo di proteggerci, scegliamo il silenzio, creando una barriera tra noi e gli altri. Questo autoisolamento, però, genera solo ansia e sofferenza interiore. Reprimere emozioni e pensieri, evitando di esprimere se stessi, non ci rende migliori, ma ci imprigiona in un ciclo di silenzio soffocante, che nega la libertà di parola e di espressione. Nascondersi, soprattutto se si desidera superare un periodo di difficoltà, può essere controproducente. Il nostro disagio, infatti, sarà evidente, rendendo faticoso e rischioso persistere in una chiusura autoimposta, quando i segnali indicano una possibile via d’uscita. La ragione può guidarci, ma l’istinto, spesso, la tradirà. In “Una ladra in biblioteca” di Sue Halpern, assistiamo al cammino di ripresa di Kit, una bibliotecaria isolata, che ritrova se stessa grazie all’incontro con Sunny, una quindicenne arrestata per il furto di un vocabolario. La giovane, condannata a tre mesi di lavori socialmente utili nella biblioteca di Riverton, aiuta Kit ad affrontare i suoi demoni. La scelta del vocabolario come oggetto del furto rappresenta un elemento chiave della storia. L’opera è caratterizzata da una prosa elegante e scorrevole, sebbene l’inizio possa apparire un po’ lento. Nonostante ciò, il romanzo è ricco di messaggi profondi, facilmente percepibili da ogni lettore attento, che si immedesima nelle emozioni e nelle esperienze narrate.