“Nomi, cose, musiche e città” di Giovanni Granatelli | RECENSIONE
Quando il tempo passa, lo fermi. Lo stoppi con i ricordi, con l’immagine viva di ciò che non esiste più. Ti riappropri di un tempo passato che resta tale. Vivere ancora una volta quello che ha fatto parte della tua esistenza significa non staccarsi dalla propria storia. I ricordi sono una risorsa ed anche un tormento. Tornano, con prepotenza, soprattutto quelli spiacevoli quasi a fare da monito ad una quotidianità da vivere evitando troppi errori. La memoria, in taluni casi, aggiusterebbe situazioni in divenire perchè tornare indietro con la mente porta ad una riflessione compiuta di ciò che si impara attraverso il passato. I ricordi formano racconti. Entrambi sono preziosi, utili, significativi. Spesso dalla testa passano su carta. Si scrivono, come atto nostalgico di ciò che è stato e che non sarà mai più, per fissare meglio e bene quello che ci appartiene per sempre. Solo la volontà di cancellarli può bannarli dalla memoria. I ricordi servono. Anche quelli brutti, traumatici. Da essi si può ripartire azzerando il buio, la sofferenza. Riuscirci è una cosa diversa dalla pura intenzione. Insomma, i ricordi sono amici e nemici allo stesso modo. Riparano o disintegrano suoni, voci, figure e storie.
In Nomi, cose, musiche e città di GiovanniGranatelli finisci in luoghi, in incontri, in passioni musicali, che fanno da cornice e da pittura alla vita dell’autore. Molti racconti sono autobiografici e per questo ancora più interessanti. Scriverli, riportando a galla i ricordi, equivale a mettere in atto l’accettazione, anche malinconica, del passato. Farli conoscere, invece, significa condividerli, trovare anche nuove chiavi di lettura per quello che si è vissuto.
Il libro è autentico, asciutto da un mielismo stucchevole, da un compiacimento personale. E’ vero. Lo si avverte nello stile di scrittura e nella narrazione che rimane fresca ed un affresco sulla memoria.