La capacità di rimanere invisibili è una scelta, un percorso attraverso un tempo ormai perduto, un’esistenza relegata alla memoria. L’onestà disarmante conduce spesso all’isolamento; alcuni si allontanano consapevolmente dall’ipocrisia, altri vengono respinti dalla solitudine altrui. Mascherarsi dietro le apparenze può sembrare una soluzione, ma è un’illusione: cela il fascino della verità, la materia prima di una narrazione avvincente. Profonda è la vita che anima i reietti, emarginati per una ragione che sfugge alla comprensione superficiale. Appaiono astuti, inadatti alla quotidianità, trovando rifugio nei propri sogni. Barattano la speranza con un’esistenza conquistata a fatica, per placare un’insaziabile fame, una vulnerabilità esposta ad ogni sguardo curioso. Sono pragmatici, concreti e generosamente dotati di sensibilità, celata dietro un’apparente indifferenza, uno scudo contro la maldicenza che avvelena anche ciò che è bello. Hanno la pazienza della necessità, perché il tempo è la loro unica ricchezza, un bene precario da afferrare quando si manifesta con la sua forza irrefrenabile. Allora la scelta scompare. Salvare se stessi diventa un’adesione viscerale alla vita. In “All’ombra della Grande Quercia” di Christian Malvicini, si assiste alle vicende di diverse esistenze, ma si scopre anche la pace che un luogo può offrire all’anima: un rifugio di silenzio e respiro, un’oasi dove il conflitto interno ed esterno si placa. Un luogo per abbandonarsi alla quiete, alla lentezza, alla riflessione. È una fortuna trovarlo, un tesoro dove lasciare e ricevere frammenti di sé e degli altri. Un luogo dell’anima che accoglie le voci che cercano calma e ristoro. La narrazione è fresca, lo stile limpido. Se in alcuni punti manca la forza propulsiva che genera curiosità, nel complesso l’opera è ben scritta e cela significati più profondi di quanto dichiarato dall’autore.