Frammenti di un’esistenza spezzata: Recensione di “Il bambino delle vigne” di Elena Vatta

Un’esistenza a tratti lacerata, dove emozioni incomplete formano un’unità contraddittoria, un’unione di mente e cuore in perenne, libero contrasto. Le mancanze infantili sono difficili da colmare nell’età adulta, anche se si tenta di riempire il vuoto con ciò che si è desiderato ardentemente. Si ripercorre il passato per evitare il ripetersi di traumi dolorosi. Le cicatrici dell’anima, soprattutto quelle infantili, permangono, ingigantite dalla memoria, incisi come preghiere. Spariscono con un sorriso, una distrazione, un gioco, per poi riemergere inaspettatamente, quando meno ce lo si aspetta. È possibile rivisitare il passato, non solo nei ricordi, ma fisicamente, tornando nei luoghi cari, rivivendo l’isolamento scelto, la distanza dagli altri, per un contatto diverso con il mondo circostante. Questa rievocazione emotiva serve a chiudere un cerchio, a porre un nuovo punto di partenza. Ricostruire la mappa dei propri sentimenti, che hanno plasmato gli anni trascorsi, genera turbamento e aspettative da esplorare. È la vita stessa a richiederlo. In “Il bambino delle vigne” di Elena Vatta, immergiamoci nel mondo emotivo di Giuseppe, abbandonato a due anni dalla madre in un collegio femminile. Accudito con affetto dalle suore e dalle altre bambine, Giuseppe vive un’infanzia spensierata, ma gli manca quell’amore incondizionato solo una madre può dare. L’assenza della madre si trasforma in una realtà definitiva, incancellabile. Crescendo, Giuseppe si costruisce delle certezze che, ripensandoci, si rivelano fragili come briciole. Le sfide della vita possono portare a un riscatto personale, ma le ferite profonde, come la mancanza dell’amore materno, lasciano voragini emotive. Eppure, eventi sorprendenti sconvolgeranno il corso della sua esistenza. Questo romanzo, ispirato a una storia vera, è intenso ed emotivamente coinvolgente. La narrazione scorre fluida, la prosa naturale e ricca, creando un’opera di grande impatto.