L’avvocato, professore e attivista per i diritti civili americano Derrick A. Bell affermò: “Viviamo in un sistema che teorizza il merito, l’uguaglianza e la parità di opportunità, ma celebra la ricchezza, il potere e la celebrità, a prescindere dal modo in cui sono stati ottenuti”. A distanza di tempo, la sua riflessione sembra ancora attualissima, persino nel contesto televisivo. Il Grande Fratello Vip 6, conclusosi dopo 183 puntate, lascia un retrogusto amaro. La vittoria di Jessica Selassié, per molti, è stata inaspettata, se non addirittura inspiegabile. Alcuni concorrenti, a mio avviso più meritevoli, sono stati eliminati precocemente, creando l’impressione di un copione già scritto. Certo, i gusti sono soggettivi, ma alcune scelte destano perplessità. Quel che colpisce è l’audacia, il coraggio di chi ha preso tali decisioni, e del pubblico, sovrano indiscusso (o almeno così dovrebbe essere) della televisione italiana. Personalmente, avrei preferito il successo di Lulù Selassié, una figura forse non convenzionale, ma che ha offerto al programma un contributo significativo, a differenza di altri inquilini. Jessica, a ben guardare, ricorda una Cenerentola rivisitata in chiave moderna: una donna remissiva, alle prese con le sorelle – le vere sorelle, in questo caso – e con un interesse amoroso, Barù, che si rivela ben diverso dall’immagine idealizzata. Un finale a lieto fine mancato, dunque, per lei. Il suo trionfo, dovuto al televoto, appare quasi un’ironia del destino. E Davide Silvestri, proclamato miglior concorrente, secondo a Jessica? Un’elezione inspiegabile, soprattutto considerando la sua evidente classe e carattere. In definitiva, forse un ultimo posto sarebbe stato più coerente con il suo percorso.
Il trionfo di Jessica Selassié al GFVip 6: una meritocrazia apparente?

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