E POI COSA FAI?INEDITOITALIANAMUSICARUBRICHESTRANIERA

EIFFEL 65 – L’intervista doppia a Maury e Jeffrey che ne dicono delle belle!

 

 

 


Ricordo le code fuori dai locali dove lavoravo, quando c’erano loro ospiti, ricordo l’intervista che gli ho fatto nel 2006 in Radio, ricordo nitidamente l’uscita del loro primo singolo, ma soprattutto ricordo bene quanto mi influenzasse il loro sound alla fine del vecchio millennio, tanto da poter considerare i loro vinili, parte fondamentale della mia voglia di far diventare quella passione, un vero e proprio lavoro.
Ricordo che il mio migliore amico diceva che io somigliassi a Gabry Ponte, che un altro di noi avesse gli stessi capelli di Maury e che proprio lui avesse i tratti somatici di Jeffrey.

Insomma, ci piaceva sognare l’idea di poter essere per gioco gli EIFFEL 65.

Loro cantavano “Quelli che non hanno età” e grazie ai loro successi, mi piace credere che il tempo abbia fermato la mia di età, quasi a ricordare quando loro “viaggiavano insieme a me” e io speravo in una vita che potesse essere “Too Much of Heaven”.

Ecco a voi, la mia intervista doppia agli Eiffel 65. I’m so “Lucky” ad aver avuto l’onore di fargliela…

“Blue” ha compiuto 18 anni e voi in questi due decenni ne hai fatta di strada.
Cos’hanno imparato Maury e Jeffrey in questi quasi due decenni?
M: Bella domanda! Tante cose mi verrebbe da dire. C’è da considerare che in questi 18 anni abbiamo vissuto tante vite, siamo passati dai 20 ai 40, siamo diventati genitori. Come fare a scegliere un unico insegnamento?
Sintetizzerei con una frase tanto banale quanto vera per me: “Se credi in quello che sei e in quello che fai, la vita può diventare la migliore delle vite possibili.”
J: In effetti sono passati così tanti anni e abbiamo davvero vissuto diverse vite. Abbiamo avuto la fortuna di vivere l’evoluzione della musica in questi 20 anni e l’insegnamento più grande che ne traggo è che il successo è frutto della volontà delle persone di inglobare qualcosa nella loro vita e lasciare che questo ne colori una parte.

Quando siete usciti, tutti impazzivano per l’effetto, che rendeva unica la voce di Jeffrey. Per anni hanno cercato di imitarvi, ma nessuno ci è mai riuscito (bene). Di chi è stata l’idea di utilizzare il Vocoder?
M: L’idea del Vocoder (o meglio Harmonizer, così si chiamava davvero il dispositivo che utilizzavo) arriva da me che all’epoca cercavo un po’ l’effetto 80’s di band elettroniche come i Kraftwerk.
In realtà lo usavo soprattutto per risparmiarmi il tempo di registrare le classiche armonizzazioni vocali. Poi però, da songwriter ma non cantante quale sono, spesso mi capitava di usarlo per dare un’idea più precisa della linea melodica al cantante. Nel caso di Blue è andata così, ci tengo a precisare che Jeff è una macchina da guerra sia live che in studio, da buona la prima, quindi quella di lasciare parti portanti vocoderizzate è stata una scelta di stile. Suonando con una tastiera una voce si possono ottenere sound e salti di nota innaturali, artefatti ma a volte più interessanti della normalità.
J: E’ stato un percorso alquanto particolare per me il vestito del vocoder sulla mia voce.
Tanto figo quanto difficile da gestire. Ci sono voluti anni per dimostrare che dietro quel effetto ci fosse davvero un cantate. Ricordo ancora che nel tour negli Stati Uniti spesso ci veniva chiesto la base completa come se fossimo delle semplice figure a rappresentare in playback un progetto da studio ed era divertente vedere le loro facce sorprese alle prove. Alla fine siamo arrivati ad essere Headliner di quel tour attesi da tutti e miti per gli addetti ai lavori.

E’ il momento di dirci il perché di quelle tutine in lycra da pseudo-astronauti. A chi vi siete ispirati per l’outfit?
M: Pensa che all’inizio volevamo andare in giro mascherati, la nostra ispirazione iniziale erano band no face come Daft Punk, Kiss, Rockets. Cercavamo un modo originale di porci, che fosse adatto all’immaginario elettronico/pop/club che volevamo rappresentare. Poi ci hanno consigliato di fare vedere le facce perché non erano così male 😉 ed abbiamo optato per un outfit strambo, da supereroi da videogame. Quella tra l’altro era una tuta self-made composta da una divisa di un corpo speciale di paracadutismo francese a cui abbiamo fatto applicare strip catarifrangenti e scritte che rappresentassero simboli. Quanto si sudava là dentro 😉
J: Eravamo ancora tanto immersi nei video giochi. Ci piaceva l’idea di dare un tratto distintivo al look. Qualcosa che potesse accompagnare quel sound e dare un immaginario ben preciso. Fortuna vuole che cera questa azienda vicino lo studio che aveva questo mega appalto per delle tute molto particolari di un corpo speciale. Devo dire che non ho mai visto un tessuto del genere. Dopo 20 anni e migliaia di lavatrici il tessuto è intatto e colorato come appena comprato, quasi come legato al DNA evergreen di Blue.

Si sono riuniti i Take That, le Spice Girls, i Backstreet Boys e tanti altri. Ci sarà mai l’occasione per noi nostalgici di riascoltare un nuovo album degli Eiffel, magari con la formazione originale? Mi sembra ci siate andati vicino qualche anno fa…
M: Domanda a cui non saprei rispondere onestamente!
Si è vero, ci abbiamo provato ma sono cambiate tante cose nelle nostre vite sia professionali che personali e la cosa si è un po’ arenata. All’epoca praticamente vivevamo nella stessa struttura tutti i giorni quindi collaborare o portare avanti un progetto era più semplice, oggi ognuno di noi vive in luoghi diversi ed ha percorsi musicali diversi e più complicato portare avanti un progetto importante e a cui ognuno di noi tiene particolarmente e che non ci va di sottovalutare o sfruttare tanto per.
J: La musica nasce da un preciso bisogno di esternare qualcosa come tale è difficile svilupparne i puzzle a distanze per persone come noi che hanno sempre collaborato molto vicini. Cucire un tessuto musicale per Eiffel diventa difficile dato che ci si aspetta sempre qualcosa di innovativo o addirittura quasi uguale al suono di un epoca che ha segnato il suo tempo e che lascia spazio alle svariate sfaccettature degli arrangiamenti di oggi.

E’ vero che non credevate al successo di Blue, prima di pubblicarlo?
M: Bè io avendola scritta e prodotta ovviamente ci credevo, ma non al punto di pensare potesse fare quello che in realtà ha fatto. Onestamente era fuori da ogni più ambiziosa previsione. Difficile pensare che una canzone a cui lavori, totalmente diversa da tutto quello che c’è in giro, possa vendere milioni di copie in tutto il mondo e farti arrivare praticamente ovunque da primo in classifica.
J: Era difficile vedere un successo in Blue. Eravamo tanto abituati a pesare il probabile successo di qualcosa valutando il numero di elementi che si incastonassero in un genere vincente del quel momento ma Blue ci insegna che alcune cose hanno alchimie del tutto uniche che portano il brano in posti e livelli mai aspettati.

Prima degli Eiffel c’erano i Bliss Team, di cui Jeffrey faceva parte. Com’è nata l’idea di abbandonare quel progetto e fondarne uno nuovo?
M: Noi facevamo parte di un collettivo di artisti vari che collaboravano a diversi progetti anche simultaneamente, poi capitava che qualcuno funzionasse e arrivassero le richieste per i live e anche per il follow up discografico. Erano gli anni 90 e la dance si muoveva così. Più focalizzata sulle produzioni che non sulla costruzione dei profili artista. Quella arrivava dopo se i risultati lo permettevano.
J: Era bello il modo in cui lavoravamo. Si ragionava molto come dei pezzi di Synth assimilabili a secondo del risultato voluto. Questo non solo permetteva di collaborare a molti progetti e aumentare la possibilità di essere coinvolti in qualcosa che funzionasse ma la cosa più bella è che si era super creativi e in continua e veloce evoluzione.

Non vi piacerebbe condurre un programma radiofonico dedicato agli anni ’90 con tutti gli ospiti del decennio d’oro della dance?
M: Io, può suonare strano, ma non sono molto nostalgico, preferisco siano altri a farlo. E ci sono già diversi format radio, live e tra poco anche tv (capirete) che se ne occupano e lo fanno con occhi più curiosi di chi, come noi, ha già vissuto tutta l’essenza all’epoca.
J: So cantare ma non ho mai sopportato la mia voce parlata in radio. Per quanto mi prende bene l’idea di ripercorre alcuni percorsi di quei anni non credo io sia la persona più adatta a fare uno show radiofonico.

Sfatiamo un mito. Noi Italiani secondo il vostro parere, agli occhi degli stranieri, a che posto di un eventuale classifica della Night Culture, siamo posizionati nel mondo?
M: Nei primi anni della band condividevamo palchi con molti artisti mainstream e addetti ai lavori internazionali, e devo ammettere che loro, a parte noi, la lirica e pochissimo altro, non avevano idea di cosa potesse essere l’Italia in termini musicali. Oggi non saprei dirtelo con certezza, ma non ho la sensazione che la cosa sia cambiata granché. Sappiamo che qui da noi questo non è un periodo d’oro per il clubbing in generale.
J: Credo sia una domanda a cui potrebbe rispondere con maggiore accuratezza chi gestisce un locale oggi. Per ciò che riguarda i DJ Italiani sono diversi che oggi godono di un ottima credibilità e che girano il mondo con i loro set ma stilarne una classifica diventa un pò difficile per chi come noi vive il club come un concerto.

Di eventi da ricordare ne avrete a migliaia, ma sarete incappati anche voi nella cosiddetta “serata da incubo”? Ce la raccontate…
M: Ce ne sarebbero da raccontare, mi ricordo una volta in Germania dove avevamo in programma una tripla (tre live in una sera) in tre destinazioni distanti circa 300/400 km una dall’altra. Le prime due filano lisce ma nel tragitto verso la terza (che era un club isolato dal mondo in mezzo alla neve e il nulla), abbiamo trovato una bufera di neve che ci ha fatto arrivare ad un orario improbabile. Il proprietario ci attendeva fuori con un paio di loschi ceffi parecchio “adirato”, dopo l’esibizione con il pubblico rimasto .. tipo alle 5 del mattino, non voleva darci le chiavi dell’hotel e lasciarci fuori al freddo. Il nostro tour manager era un ex legionario .. diciamo che ci ha pensato lui a risolvere la questione. 😉
J: Un momento che ricordo che il sorriso fu una serata nel palermitano dove siamo arrivati in ritardo per via di problemi con i voli. Abbiamo dovuto montare con il pubblico presente e dopo che ci siamo cambiata in camerino abbiamo chiesto ad uno dei promoter di non farci passare in mezzo al pubblico per arrivare sul palco. Invece lui fece proprio così, avevamo persone che ci strattonavano e fu un incubo arrivare sul palco…io preso dalla rabbia
assoluta usavo Maury come leva per sollevarmi e cercare di tirare schiaffi al promoter davanti a Maury che se la rideva mentre si passava in mezzo alla gente.

Meglio un RMX ben fatto di un disco vecchio oppure sempre un inedito?
M: Niente contro i remix di vecchi dischi se ben fatti, ma tutta la vita un inedito. Non potrebbe sopravvivere la musica senza inediti.
J: L’emozione di scrivere qualcosa di nuovo per me rimane una sensazione unica. L’idea di creare qualcosa che prima non c’era mi da un senso di volare.

Personalmente ho amato “Viaggia insieme a me” e “Too Much Of Heaven”… Se uscissero oggi che la dance ha rallentato i bpm, potrebbero avere un buon successo?
M: Eheh… chi può dirlo? Sai oltre al talento, impegno e disciplina, esiste un quarto fattore fondamentale: la fortuna, che altro non è che essere al posto giusto al momento giusto, non si può mai prevedere con certezza come sarebbero potute andare le cose se cambi questi dati.
J: Credo che ogni buona canzone possa essere vestiti in modi diversi a secondo del momento storico un cui si affaccia al mercato. Da qui a dire che potrebbe essere maggiore o inferiore il successo è come avere una sfera di cristallo con cui prevedere le cose. Sicuramente posso dire che avevano il giusto vestito per il momento in cui sono usciti.

Qual è il rimpianto degli Eiffel 65, dopo il quasi ricongiungimento del 2010?
M: Io onestamente non ho grossi rimpianti nella mia vita, faccio quello che mi piace da sempre e i risultati non sono di certo mancati, sia professionali che personali. Poi da produttore so che si può sempre fare meglio, ma ad un certo punto bisogna anche lasciare che le cose seguano il corso degli eventi accettando vittorie e sconfitte.
J: Certi percorsi sono scritti. Le cose accadano sempre per una ragione. Non credo nel fato ma alcune cose non ci sarebbero senza altre. Come tale forse l’unica cosa che mi manca è un tour più grosso … a cui stiamo lavorando 😉

Ultima domanda: quando da giovane dicevate alla gente di fare il cantante e/o il musicista e loro rispondevano “E POI COSA FAI”, voi cosa pensavate?
M: Ahah questo è un classico, io ricordo che mi faceva sorridere la cosa. Dopo Blue però hanno smesso di chiederlo…. 😉
J: Per mia fortuna mio padre era musicista e per me intraprendere questo sogno aveva meno ostacoli del solito.

Salutateci con uno sfogo, che vi siete sempre tenuti dentro e GRAZIE 🙂
M: Più che sfogo, avrei alcune raccomandazioni per le nuove generazioni di produttori italiani:
“non pensate ai soldi o alla notorietà da social, e non prendete il panorama internazionale da #fan #stalker #copiaincollatuttoselofaluilofaccioancheiocosìdiventoriccoefamoso, se volete avere una carriera da artista dovete essere artisti, e gli artisti si esprimono cercando di comunicare emozioni importanti attraverso la loro arte… prima la musica poi il resto.
Senza quella e i consensi “naturali” non si può pensare di proseguire in questo campo, e la musica ne ha più che mai bisogno, oggi che vince musica “bella da sentire” ma non “bella da comprare”. Cercate la storia .. non il semplice successo temporaneo. 🙂
J: Più che uno sfogo mi sento di dire che il successo non è da cercare nei social ma in quello che avete dentro che potete trasformare in parole e melodie


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Fabio De Vivo

Nato a Napoli il 22 maggio 1982. Dj, speaker radiofonico, conduttore televisivo, autore, web content writer ora anche nella famiglia di M SOCIAL MAGAZINE con la rubrica “E POI COSA FAI?”